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mercoledì 23 marzo 2011

GLI SPIRITI INFERIORI



Come lo spirito puro ha in sé la propria luce e la propria felicità, che lo seguono dovunque e sono parti integrali del suo essere, così lo spirito colpevole ha in sé la notte, il suo castigo e il suo obbrobrio.Le sofferenze delle anime perverse, pur non essendo materiali, non sono perciò meno vive: l’inferno non è che un luogo chimerico, un prodotto dell’immaginazione, uno spauracchio, forse necessario per i popoli bambini, ma che ad ogni modo non ha alcunché di reale. Ben altro è l’insegnamento degli spiriti circa i tormenti della vita futura; non già per ipotesi, ma per prova, poiché quelli stessi che li sopportano vengono a descriverci le loro sofferenze, come gli altri i loro rapimenti.
Queste pene non sono imposte da un volere arbitrario, non ha luogo alcuna sentenza, ma lo spirito subisce le conseguenze naturali del suoi atti che, ricadendo su di lui, lo glorificano o lo deprimono.
L’essere soffre nella vita d’oltre tomba, non solo per il male che ha fatto, ma anche per la sua negligenza e debolezza; in una parola la sua vita è opera sua, ed è tal quale egli stesso se la foggiò. La sofferenza è inerente allo stato imperfetto, si attenua col progresso, per cessare quando lo spirito ha vinto la materia.
Il castigo dello spirito malvagio, continua, non solo nella vita spirituale, ma anche nelle successive incarnazioni che lo trascinano ad incarnarsi sui mondi inferiori, dove l’esistenza è precaria e il dolore sovrano. Sono questi i mondi che si possono qualificare di inferni, e la terra, da un certo punto di vista,entra nel loro numero: attorno a queste prigioni roteanti nello spazio, fluttuano le oscure legioni degli spiriti imperfetti che attendono l’ora della reincarnazione.
Abbiamo visto quanto sia penoso, lungo, pieno di turbamenti e di angosce, il periodo del distacco dal corpo, per lo spirito che visse in preda alle passioni. Per esso, l’illusione della vita terrestre continua lunghi anni; incapace di rendersi conto del suo stato, di rompere le sue catene elevando l’intelligenza e il cuore al di là del piccolo cerchio della sua esistenza, egli continua a vivere, come prima di morire, schiavo delle abitudini e degli istinti: irritato che i suoi conoscenti non sappiano più vederlo né intenderlo, erra triste,senza scopo,senza speranza, nei luoghi che gli erano famigliari. Queste sono le anime in pena che si fanno sentire in alcune località, la cui reale esistenza ci viene confermata ogni giorno da molte e rumorose manifestazioni.
La condizione dello spirito dopo la morte, risulta unicamente dal modo con cui egli seppe sviluppare le proprie aspirazioni e tendenze, e ciò secondo la legge inesorabile della seminagione e del raccolto. Colui che pose tutte le sue gioie, tutte le sue aspirazioni nelle cose di questo mondo, nei beni della terra, soffre crudelmente di esserne privo. Ogni passione ha con sé la sua pena, e lo spirito che non seppe emanciparsi dai grossolani istinti e dai desideri brutali, diventa il loro zimbello e il loro schiavo; il suo supplizio è quello di esserne tormentato senza poterli soddisfare
Pungente è la disperazione dell’avaro che vede la dispersione dell’oro e dei beni accumulati con lunga cura: egli resta fatalmente legato al suo oro, in preda ad una terribile ansietà, in balia ad un indomabile furore.
Degna di pietà è pure la condizione dei potenti orgogliosi, che abusarono della loro fortuna e dei loro titoli,non pensando che alla gloria ed al benessere proprio; disprezzando i piccoli e opprimendo i deboli. Non più cortigiani striscianti, servi ubbidienti, dimore ed abbigliamenti sontuosi! Privi di tutto ciò che formava la loro grandezza terrena, essi rimangono soli e nudi.
Più spaventosa ancora è la condizione degli spiriti crudeli e rapaci, dei delinquenti di ogni specie che versarono il sangue o calpestarono la giustizia: i lamenti, le maledizioni delle vittime, risuonano al loro orecchio per un tempo che sembra loro eterno. Circondati da ombre schernitrici e minacciose che li perseguitano senza posa, essi non hanno alcun ritiro abbastanza profondo e nascosto, in cui possano trovare il riposo e l’oblio; il ritorno ad una vita oscura, la miseria, l’abbassamento, la schiavitù, possono soltanto attenuare i loro mali.
Nulla uguaglia la vergogna e il terrore dello spirito davanti a cui si ergono incessantemente le esistenze colpevoli, le scene di sangue e di rapina, che si sente penetrato e ferito da una luce che suscita i più segreti ricordi, tormentato dal pungolo ardente della memoria che lo incalza. In ciò si comprende e benedice la provvidenza divina che ci ha risparmiato, nella vita terrestre, questo martirio, dandoci così,colla tranquillità dello spirito, una più grande libertà d’azione onde lavorare al nostro avanzamento. Anche gli egoisti, le persone preoccupate esclusivamente dei loro interessi e dei loro piaceri, si preparano un doloroso avvenire, poiché non avendo amato che sé stessi, non avendo aiutato, consolato, sollevato alcuno, non trovano a loro volta, né simpatie, né soccorsi nella vita novella. Il tempo passa per essi lento e monotono, nell’isolamento e nell’abbandono: una triste noia, un’incertezza piena d’angoscia li prende; li rode e li divora il rimorso delle ore perdute, dell’esistenza sciupata, degli interessi miserabili in cui furono completamente assorti. Essi soffrono ed errano, finché un pensiero caritatevole, come un raggio di speranza, viene a risplendere nella loro notte e, dietro il consiglio di uno spirito buono e illuminato,rompendo volontariamente il legame fluidico che li ritiene, si decidono di entrare in una via migliore.
La condizione del suicida ha molta analogia con quella del delinquente, ed è talvolta anche, peggiore: il suicidio è una viltà, un delitto,e le sue conseguenze sono veramente terribili. Secondo l’espressione di uno spirito, il suicida non sfugge la sofferenza che per trovare la tortura, poiché ognuno di noi ha una missione,un dovere da compiere sulla terra, e deve subire delle prove per il bene proprio e per la propria elevazione. Tentare di sottrarvisi,di liberarsi dai mali terrestri prima del termine fissato, è violare la legge naturale, ed ogni violazione richiama sopra il colpevole una reazione violenta. Il suicida non si libera dalle sue sofferenze fisiche,il suo spirito resta legato a quel corpo carnale ch’egli credeva distruggere, subisce lentamente tutte le fasi della sua decomposizione, e le sensazioni dolorose si moltiplicano o per lui anziché diminuire. Lungi dall’abbreviare la sua prova, la prolunga indefinitivamente; il suo malessere, il suo turbamento persistono lungo tempo ancora dopo la distruzione della spoglia materiale, ed egli dovrà affrontare nuovamente le prove che sono la, conseguenza del suo passato e a cui credeva sfuggir colla morte; dovrà sopportarle in condizioni peggiori, rifare, passo passo, la via seminata di ostacoli, e subire perciò una incarnazione più penosa ancora di quella a cui voleva sfuggire.
Le sofferenze dei giustiziati dopo la loro esecuzione sono spaventevoli, e le descrizioni che ce ne danno alcuni celebri assassini, potrebbero commuovere i cuori più duri, e rivelare alla giustizia umana le terribili conseguenze della pena di morte. La maggior parte di questi disgraziati sono presi da una eccitazione spasmodica, stimolati da sensazioni atroci, in preda all’orrore provocato dai loro stessi delitti, trafitti dagli sguardi delle vittime come da spade, vittime essi stessi di allucinazioni e di spaventosi sogni. Alcuni, per trovare un diversivo ai loro mali, si avventano agli incarnati di tendenze affini,e li spingono sulla via del delitto; altri, divorati dai rimorsi come da fuoco inestinguibile,cercano senza posa, affannosamente, un rifugio che non trovano, mentre sotto e intorno ad essi, si agitano dei cadaveri, delle ombre minacciose, dei mari di sangue.
Gli spiriti malvagi non conoscono l’avvenire e ignorano completamente le leggi superiori, mentre su di essi preme il carico pesante delle loro colpe. I fluidi in cui sono avvolti, intercettano ogni rapporto fra essi e gli spiriti elevati che vorrebbero pur strapparli alla loro inerzia e alle loro tendenze, ma che non lo possono, per la natura grossolana e quasi materiale di questi spiriti, e la limitazione delle loro percezioni.
Da ciò l’ignoranza della propria sorte, e la tendenza a credere eterne le loro pene, talché alcuni di essi, ancora imbevuti delle credenze cattoliche, si ritengono e si dicono all’inferno.
Molti, rosi dalla gelosia e dall’odio, si attaccano, per distrarsi dalle loro pene, alle persone deboli e inclinate al male, e sibilano al loro orecchio le più funeste ispirazioni. Ma a poco a poco da questi nuovi eccessi scaturiscono nuove sofferenze: la reazione del male provocato li spinge in un’atmosfera di fluidi più densi, le tenebre si fanno più fitte, un circolo stretto si forma e si impone, dolorosa, la reincarnazione.
I pentiti sono più calmi: essi vedono avvicinarsi con rassegnazione il tempo della nuova prova, volonterosi di soddisfare all’eterna giustizia, e i pallidi bagliori del rimorso rischiarano la loro anima d’un vago crepuscolo, che permette ai buoni spiriti di giungere alla loro intelligenza e di prodigar loro il conforto e il consiglio.

DOPO LA MORTE di Léon Denis

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