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venerdì 14 gennaio 2011

IL MOTIVO DELLE VITE SUCCESSIVE


La maggior parte degli uomini è composta da credenti che, per semplicità o pigrizia d'animo, hanno accettato ciecamente la portata dogmatica dei testi religiosi, anche alla lettera, senza degnarsi di sottoporre tale testi al vaglio della ragione.

Accettando con benevolenza la prospettiva di una immortalità felice o infelice, secondo la condotta riferita ad una sola vita terrestre, essi hanno sottoscritto, per ogni caso, un'assicurazione contro l'ignoto dell'aldilà. Per questo, si sono accomunati ad un rituale di superficie che essi ritengono sufficiente a dar loro accesso alla beatitudine eterna.

La delusione di questi cedenti dev'essere penosa, allorché, ritornati nell'aldilà, saranno in grado di constatare che non basta una vita, seppur esemplare, per raggiungere quel paradiso che la loro religione lasciava intravedere.

Quel paradiso, che non esiste in fondo in nessun posto dello spazio, è lo stato di perfezione assoluta che ogni spirito può e deve un giorno raggiungere; è il possesso della secienza della saggezza e dell'amore che fa dell'essere arrivato a questo stadio non un adoratore beato, ma un collaboratore della Divinità.

Chiunque abbia il coraggio di giudicarsi secondo il proprio valore, di valutare la somma delle imperfezioni e di mettere in parallelo la modicità delle sue conoscenze con quelle che gli restano da conoscere per conoscere il perché di tutte le cose, dovrà comprendere che è ancora immensamente lungi dal fine assegnatogli. Misurando l'immensità degli sforzi che dovrà compiere, non solo per ottenere la scienza infusa, ma anche per condurre il suo essere morale alla perfezione, deve rendersi conto che migliaia e migliaia di anni gli sarebbero necessari per arrivarvi e che una sola esistenza umana non può che consentirgli una leggere ascesa verso quella cima che non gli è ancora visibile.

Dobbiamo dunque ben supporre che, dal momento che Dio ha dato all'uomo uno spirito capace di elevarsi fino alle più alte speculazioni, abbia dovuto anche fornirgliene i mezzi e che, lungi dal limitarlo in una esistenza corporea effimera, la Divinità gli abbia dato la possibilità di proseguire la sua opera mediante il gioco di una serie di innumerevoli esistenze, tra cui la presente. Fondata sulla sperimentazione, la dottrina spiritica viene a confermare questa realtà. I grandi spiriti dell'aldilà, che si degnano a volte di manifestarsi a noi, si sforzano di spiegarcene il porcedimento e la ragione. Si sono impegnati a farci capire che l'anima, così come il corpo, ha bisogno di riposo e che le è necessario andare a ritemprarsi nell'etere tra due incarnazioni. In questo ambiente essa può stabilire con calma il bilancio delle sue azioni, buone e cattive, organizzare la sua prossima vita terrestre seguendo gli insegnamenti che le vengono forniti da Spiriti superiori e evitare così di ricadere negli sbagli del passato. Questo ritorno alla carne ha inoltre il vantaggio, grazie all'oblio momentaneo del passato, di rimettersi all'opera senza essere costantemente ossessionata dai irmorsi dei gravi errori commessi e dal timore della loro punizione. Permette ancora la riunione, mediante legami affettivi, di esseri che si sono odiati prima e che, in un'unica vita, sarebbero stati per sempre separati. Così, tramite questo procedimento si creano vere e proprie famiglie spirituali di cui la famiglia umana è molto spesso una parodia. Così, per la legge delle reincarnazioni, si apre allo spirito una prospettiva senza limiti. Chiunque ne abbia afferrato la sublimità non cederà mai allo scoraggiamento, poiché sa che le prove che gli sono imposte, con uno scopo evolutivo, sono solo passeggere, e che se le subirà con rassegnazione e si sforzerà di non rinnovarne le cause, le sue esistenze seguenti saranno più miti. Sa anche che il suo avvenire di incarnato non è limitato al nostro triste pianeta e che i suoi sforzi verso la perfezione gli consentiranno un giorno di avere accesso a mondi superiori dai quali la sofferenza e l'odio sono quasi totalemente banditi. Ma sa anche che in attesa di questo giorno felice dovrà venire ancora diverse volte quaggiù e che è nel suo interesse, nonché nel suo dovere, di sforzarsi, nella misura delle sue possibilità, di migliorarne le condizioni di vita materiale e morale.

Così prende forma per lui la sublimità di questa legge delle vite successive che, incatenando l'avvenire dell'uomo a quello dei suoi fratelli, lo costringe all'abbandono del suo egoismo originale, ad uno sforzo incessante nel raggiungimento della perfezione e lo conduce passo dopo passo alla concezione di un amore universale che è il fine supremo stabilito dalla Divinità.

Il peso delle prove:
Dice Iddio per mezzo dell'Apostolo San Giacomo: "Beato l'uomo che supera la prova, poichè dopo esser stato provato, riceverà la corona di vita, la quale è stata promessa da Dio a coloro che lo amano" (S. Giacomo, I, 12).

La corona di vita di cui si parla, è il premio del Paradiso, cioè la felicità eterna.

Quando ci troviamo sotto il peso di gravi afflizioni, pensiamo che siamo sotto lo sguardo amoroso di Dio, il quale desidera coronarci di gloria eterna. Il pensiero del grande premio ci sia di sprone a superare le grandi prove. E viene qui a proposito il detto di San Francesco d'Assisi: Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto!

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