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venerdì 22 aprile 2011

SAGGIO TEORICO SULLE SENSAZIONI DEGLI SPIRITI


- Il corpo, oltre che lo strumento del dolore, ne è se non la causa prima, almeno
la causa immediata. L’anima ha sensazione di questo dolore: e questa sensazione è
l’effetto. Il ricordo che essa ne serba, può essere molto penoso, ma non esercitare
azione fisica. Infatti, né‚ il freddo né‚ il caldo possono dissolvere i tessuti
dell’anima: la quale non può né‚ gelare né bruciarsi. Ma non vediamo noi tutti i giorni
il ricordo o l’apprensione di un male produrre l’effetto della realtà, e causare anche
la morte? Tutti sanno che le persone amputate possono sentire dolori nelle membra che
non esistono più, e quindi non può essere certamente né la sede del dolore, né il suo
punto di partenza: il cervello ne ha conservato l’impressione, ecco tutto. Ora, perché‚
non avrebbe qualche analogia con questo il fenomeno dei patimenti dello Spirito dopo la
morte del corpo? Uno studio più profondo del perispirito, che ha essenzialissima parte
in tutti i fenomeni spiritici; le apparizioni vaporose o tangibili; lo stato dello
Spirito al momento della morte, l’idea così frequente in esso di essere ancora vivo;
l’orribile quadro dei suicidi, dei giustiziati, di coloro che si erano immersi nei
piaceri materiali, e molti altri fatti, sono venuti a gettare luce su questo argomento,
ed hanno dato luogo ad ampi schiarimenti, che qui dobbiamo riepilogare.
Il perispirito è il legame che unisce lo Spirito con la materia del corpo. Esso viene
attinto dall’ambiente dal fluido magnetico e, sino a un certo punto, dalla materia
inerte. Si potrebbe dire che sia la quintessenza della materia: esso è il principio
della vita organica, come lo Spirito è quello della vita intellettiva e morale e perciò
l’agente delle sensazioni esterne. Nel corpo, queste sensazioni sono rese locali dagli
organi, che servono loro da veicoli. Distrutto che sia il corpo, le sensazioni
diventano generali. Ecco perché‚ gli Spiriti non dicono di soffrire piuttosto al capo
che ai piedi. Si avverta però di non confondere le sensazioni del perispirito libero
con quelle del corpo: prendiamo queste ultime come termine di paragone, e non come
analogia. Lo Spirito può soffrire anche dopo sciolto dal corpo. Ma che sofferenza è la
sua? Non corporale, ma nemmeno esclusivamente morale come il rimorso, giacché‚ si
lagna, ad esempio, del freddo e del caldo. E tuttavia egli non patisce più nell’inverno
che nell’estate poiché‚ può stare fra i geli o passare attraverso le fiamme senza la
minima pena: dunque, non riceve alcuna impressione dalle intemperie. Per conseguenza, i
dolori che sente non sono dolori fisici propriamente detti, ma vaghe sensazioni intime,
di cui egli stesso non si sa rendere sempre ragione, appunto perché‚ non sono locali,
né‚ sono prodotti da agenti esterni: essi sono, anziché‚ realtà, dei ricordi
altrettanto penosi. Tuttavia, qualche volta sono più che un ricordo; ed ecco in qual
modo. L’esperienza ci insegna che al momento del trapasso il perispirito si scioglie
più o meno lentamente dal corpo, e per qualche tempo lo Spirito non si spiega il
proprio stato: non crede di essere morto, perché‚ sente di vivere, ma vede il suo corpo
abbandonato, sa che è suo, e non comprende di esserne separato: e tale stato dura fino
a tanto che esiste un legame fra il corpo e il perispirito. Un suicida ci diceva: «No,
io non sono morto!»; ed aggiungeva: «nondimeno sento i vermi, che mi rodono». Ora i
vermi non rodevano certamente il perispirito, ed ancor meno lo Spirito: rodevano il
corpo. Ma siccome la separazione del corpo e del perispirito non era perfetta, ne
risultava una specie di ripercussione morale, che trasmetteva allo spirito la
sensazione di ciò che avveniva nel corpo. Si badi però, che ripercussione non è il
termine proprio, poiché‚ potrebbe far credere a un effetto troppo materiale: lo
adoperiamo in mancanza di meglio, per significare come la vista di ciò che succedeva
nel suo corpo, a cui lo univa ancora il perispirito, produceva in lui un’illusione, che
egli prendeva per realtà. Dunque il soffrire dello Spirito non era per rimembranza,
poiché‚ in vita sua egli non era mai stato roso dai vermi, ma era la percezione di un
fatto a lui presente. Vediamo ora quali deduzioni si possono trarre da fatti così
attentamente osservati.
Durante la vita, il corpo riceve le impressioni esterne, e le trasmette allo Spirito
per mezzo del perispirito, che probabilmente è ciò che viene detto fluido nervoso. Il
corpo morto non sente nulla, perché‚ non vi è più né Spirito, né perispirito. Il
perispirito, sciolto o quasi dal corpo, prova la sensazione; ma, siccome tale
sensazione non gli viene più per mezzo di un organo determinato, essa è generale. Ora,
poiché‚ il perispirito in realtà non è che un agente di trasmissione, giacché è il solo
Spirito che ha la coscienza, ne segue che, se potesse esistere un perispirito senza
Spirito, esso non risentirebbe affatto più del corpo esanime, alla stessa maniera che
se lo Spirito non avesse il perispirito, o ne avesse uno per eccellenza etereo, sarebbe
inaccessibile ad ogni sensazione penosa, come avviene negli Spiriti puri. Sappiamo
infatti che, quanto più si purificano, tanto più eterea diviene la natura del loro
perispirito, il che vuol dire che l’influenza della materia diminuisce a mano a mano
che lo Spirito progredisce, cioè che il suo perispirito diventa meno grossolano.
Ma si obietterà: le sensazioni piacevoli sono trasmesse allo Spirito per mezzo del
perispirito come le penose: ora, se lo Spirito puro è inaccessibile alle une, deve
esserlo ugualmente alle altre. Sì, senza dubbio, lo Spirito puro è insensibile alle
sensazioni gradite che derivano dall’influenza di quella materia che noi conosciamo. Il
suono dei nostri strumenti, il profumo dei nostri fiori non lo impressionano affatto:
ma egli è capace di intime sensazioni di attrattiva ineffabile, di cui non ci possiamo
formare alcuna idea, giacché noi rispetto a loro siamo come i ciechi nati rispetto alla
luce. Sappiamo che tali sensazioni esistono, ma in qual modo? La nostra scienza non
procede più in là. Sappiamo che hanno sensazioni, udito, vista, e che queste facoltà
sono attributi di tutto l’essere, e non già, come nell’uomo, funzioni di un organo: ma,
ripetiamo, di quale mezzo essi si servono? Buio impenetrabile. Gli Spiriti stessi non
ce ne possono dare cognizione, poiché‚ il nostro linguaggio non è fatto per esprimere
idee che non abbiamo, come quello dei selvaggi non ha termini per significare le nostre
arti, le nostre scienze, le nostre dottrine filosofiche.
Dicendo che gli Spiriti sono inaccessibili alle impressioni della nostra materia,
intendiamo parlare degli altissimi, il cui involucro etereo non ha nulla di simile
quaggiù. Gli altri, nei quali il perispirito è più denso, sentono i nostri suoni e i
nostri odori, ma non più per mezzo di un determinato organo del loro essere, come
quando erano vivi. Potrebbe dirsi che le vibrazioni molecolari si facciano sentire in
tutto il loro essere, e giungano così al loro sensorium commune, che è lo Spirito
stesso, sebbene in differente maniera, e forse ancora con impressione differente, ciò
che produrrebbe una modificazione nelle impressioni. Essi odono il suono della nostra
voce, ma ci comprendono senza il soccorso della parola, per la sola trasmissione del
pensiero, e ciò che avvalora di più quello che affermano, si è che questa intuizione è
tanto più facile, quanto più lo Spirito si è staccato dalla materia. Quanto poi alla
vista, essa è indipendente dalla nostra luce. La facoltà di vedere è un attributo
essenziale dell’anima, per la quale non vi è oscurità, anche quella è tanto più estesa
ed acuta, quanto questa è più pura. L’anima o Spirito ha dunque in sé‚ la facoltà di
tutte le sensazioni: nella vita corporea esse sono affievolite dalla rozzezza degli
organi, e nella vita libera di meno in meno, a seconda che si assottigli l’involucro
semimateriale.
Questo involucro, tratto dal mezzo ambiente, varia secondo la natura dei globi. Nel
passare da un mondo all’altro gli Spiriti mutano involucro, come noi gli abiti passando
dall’inverno all’estate, o dai poli all’equatore. Gli Spiriti, anche i più elevati
quando vengono da noi, rivestono dunque il perispirito terrestre, e da quel momento,
hanno le sensazioni come gl’inferiori ma con la differenza che possono renderle attive
o nulle a volontà. Quanto all’udito in generale, gli Spiriti possono non udire se così
loro piace, le parole degli inferiori, mentre all’opposto devono sempre intendere
quelle dei superiori. Lo stesso accade riguardo alla vista, poiché‚ con analoga legge
si possono occultare gli uni agli altri, sicché‚ ogni Spirito, a qualunque grado
appartenga, può sempre ad arbitrio rendersi invisibile agli inferiori, ma non si può
mai sottrarre agli sguardi dei superiori. Nei primi istanti dopo la morte, la vista
dello Spirito è sempre torbida e confusa: essa si chiarisce a mano a mano che si
effettua la sua liberazione, e giunge fino a penetrare i corpi che per noi sono opachi.
Quanto alla sua estensione attraverso lo spazio infinito, nell’avvenire e nel passato,
essa dipende dal grado di elevatezza e purità dello Spirito.
Tutta questa teoria, diranno molti, non è fatta per rassicurare: noi credevamo che,
spogliato il grossolano involucro, strumento dei nostri dolori, non avremmo più
sofferto, ed ecco che venite ad annunziarci che soffriremo ancora, poiché, in una
maniera o in un’altra, è sempre il dolore che ci attende. Purtroppo e così, possiamo
soffrire ancora, e molto, ed a lungo; ma possiamo anche non soffrire più sin
dall’istante in cui lasciamo questa vita corporea.
Le sofferenze di quaggiù spesso, è vero, non dipendono da noi; ma in massima parte sono
gli effetti della nostra volontà. Risaliamo alla sorgente, e vedremo come poche di esse
non siano conseguenze di cause che avremmo potuto evitare. Quanti mali, quante
infermità non deve l’uomo ai suoi eccessi, alle sue passioni? Se vivesse una vita
sobria, se non abusasse di nulla, se fosse semplice nei suoi gusti e moderato nei suoi
desideri, si risparmierebbe molte tribolazioni.
Lo stesso avviene allo Spirito, le cui sofferenze sono sempre gli effetti della
condotta che ha tenuto sulla terra; certamente egli non avrà più la podagra o i
reumatismi, ma proverà altri dolori, che non saranno meno penosi. Abbiamo veduto, però,
che le sue sofferenze sono cagionate dai legami che esistono ancora fra lui e la
materia, vale a dire, che quanto più egli si sarà sottratto all’influenza di questa,
tanto meno avrà sensazioni penose. Ora, da lui solo dipende l’emanciparsene già in
questa vita. Dotato di libero arbitrio, ha la scelta tra il fare e il non fare: domi le
sue passioni animalesche; non nutra né odio, né invidia, né gelosia, né orgoglio; non
si lasci dominare dall’egoismo, purifichi l’anima coi sentimenti virtuosi; faccia
sempre ed in tutto il bene; non dia alle cose di questo mondo importanza maggiore di
quel che meritano, ed allora, mentre ancora alberga nel corpo, sarà purificato, avrà
scosso il giogo della materia, e, quando lascerà alla terra il suo involucro, non ne
subirà più l’influenza, e dei suoi patimenti fisici non gli rimarranno impressioni
dolorose, perché esse avranno torturato il solo corpo: lo Spirito incolume sarà
contento di esserne liberato, e la tranquillità della sua coscienza lo esimerà da ogni
sofferenza morale. Noi ne abbiamo interrogati migliaia, che erano appartenuti a tutti i
ceti e a tutte le condizioni sociali; li abbiamo studiati in tutti i periodi della loro
vita spiritica, dal momento in cui avevano abbandonato il corpo; li abbiamo seguiti
passo passo nella vita d’oltretomba, per osservare i cambiamenti che si operavano in
essi nelle loro idee, nelle loro sensazioni, e su questo argomento anche gli Spiriti
degli uomini più volgari ci hanno fornito elementi di studio assai preziosi. Ora
abbiamo sempre veduto che le sofferenze dello Spirito sono in rapporto con la sua vita
terrena, di cui subisce le conseguenze, e che quella nuova esistenza è fonte
d’ineffabile felicità, per coloro che hanno battuto la buona via: donde segue che chi
vi soffre, soffre perché‚ lo ha voluto, e non ne deve incolpare che se stesso, così
nell’altro mondo come in questo.

IL LIBRO DEGLI SPIRITI di Allan Kardec

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