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sabato 2 aprile 2011

L'ORGOGLIO - RICCHEZZA E POVERTA'


Il più temibile di tutti i vizi è l’orgoglio, poiché da esso derivano i germi di quasi tutti gli altri: è l’idra mostruosa in continua gestazione, che partorisce continuamente mostri suoi pari. Quando l’orgoglio penetra in un’anima vi si stabilisce sovrano, vi dimora a suo agio come in una città debellata, e vi si fortifica in modo da diventare inespugnabile.
Guai all’uomo che si lascia prendere da questo tiranno! Egli non potrà liberarsene che a prezzo di terribili lotte, di prove dolorose, di esistenze oscure, di tutto un avvenire di abbassamento e di umiliazione, solo rimedio efficace contro i mali generati dall’orgoglio.
Questo vizio è il maggior flagello dell’umanità; da esso procedono tutti i turbamenti della vita sociale: le rivalità di classi e di popoli, gli intrighi, l’odio e la guerra. L’orgoglio ispira le pazze ambizioni, semina la terra di sangue e di rovine, e, poiché i suoi effetti si estendono al di là della morte, fino ai nostri più lontani destini, esso è pure la causa delle nostre sofferenze d’oltre tomba.
L’orgoglio, non solo ci allontana dall’amore dei nostri simili, ma rende pure impossibile ogni miglioramento, illudendoci sul nostro valore, accecandoci sui nostri difetti: soltanto un esame rigoroso delle nostre azioni e dei nostri pensieri può indurci al miglioramento. E come mai l’orgoglioso si adatterebbe a questo esame? Fra tutti gli uomini egli è quello che meno si conosce: infatuato di sé, nulla può trarlo d’inganno, poiché egli evita con ogni cura tutto ciò che servirebbe a illuminarlo; odia la contraddizione e non si compiace che della compagnia degli adulatori.
Come un verme roditore in un bel frutto, l’orgoglio guasta le opere più meritorie, talvolta, anche volgendole in danno di colui che le compie. Il bene fatto per ostentazione, col segreto desiderio d’essere applauditi, esaltati, si risolve in discapito per il suo autore, poiché nella vita spirituale, le intenzioni, i moventi nascosti che ci ispirano, ricompaiono come altrettanti testimoni, deprimendo l’orgoglioso e annientando i suoi meriti fittizi.
L’orgoglio ci nasconde la verità: per studiare con frutto l’universo e le sue leggi, occorrono, primieramente, la sincerità e la rettitudine del cuore e dello spirito, virtù sconosciute all’orgoglioso. Il pensiero di un mondo superiore che lo domina gli è insopportabile e lo respinge; i suoi criteri sono per esso i limiti del possibile, ed egli si risolve difficilmente ad ammettere che il suo sapere e la sua intelligenza siano relative.
L’uomo semplice, dal cuore umile, ricco di qualità morali, malgrado la possibile inferiorità delle sue attitudini, giungerà più presto al vero del presuntuoso, tronfio della propria scienza terrestre ostile alla legge che lo governa e che annienta il suo prestigio.
L’insegnamento degli spiriti ci rivela la condizione degli orgogliosi nella vita futura: gli umili e i poveri di questo mondo vi sono esaltati, i vanitosi ed i potenti depressi ed umiliati. Gli uni portano con sé ciò che forma la vera superiorità - le virtù e le doti acquistate colla sofferenza, mentre gli altri devono abbandonare alla morte, titoli, fortuna, sapere. Tutto ciò che formava la loro gloria e il loro bene svanisce qual nebbia; essi giungono nello spazio poveri e nudi, e questa nudità, contrastando col loro passato splendore, acuisce le loro cure e i loro affanni cocenti.
Vedono con amarezza profonda, sopra di sé, nella luce, coloro che disprezzarono sulla terra, vedono la loro superiorità estendersi pure alle incarnazioni future. L’orgoglio e l’avara ambizione, non si possono menomare e distruggere che per mezzo di vite tormentate - vite di lavoro e di rinunzia, durante le quali l’anima orgogliosa rientra in sé, riconosce la propria debolezza, e si apre gradatamente a migliori sentimenti.
Un po’ di saggezza e di riflessione ci preserverebbe da questi mali: come lasciarci prendere e dominare dall’orgoglio, mentre basterebbe riflettere su noi stessi per comprendere la nostra pochezza? E’ forse il nostro corpo, la nostra bellezza fisica che ci fa vanitosi? Essa dura poco: basta talvolta una sola malattia per distruggerla, ogni giorno il tempo compie l’opera sua, ancor qualche passo nella vita e la nostra bellezza sarà sfiorata e rosa, il nostro corpo ridotto a un ripugnante carcame.
E’ forse la nostra superiorità naturale che ci rende orgogliosi? Trasportate il più potente ed il più favorito di noi in un deserto, fate che egli debba bastare a sé stesso, che affronti gli elementi scatenati, che, solo, si esponga alle collere dell’oceano, al furore dei venti, delle onde, del fuoco sotterraneo, e vedrete come si rivelerà la sua debolezza! Nelle ore dei pericolo tutte le distinzioni sociali, i titoli, i vantaggi della fortuna, risultano per quel che valgono: noi siamo uguali davanti al pericolo, alla sofferenza ed alla morte.
Tutti gli uomini, dal più elevato al più miserabile, sono fatti della stessa creta; coperti di cenci o di abiti sontuosi, i loro corpi sono animati da spiriti che hanno la stessa origine e che si ritroveranno insieme nella vita futura, colla sola distinzione che proviene dal valore morale. Il più grande quaggiù può essere l’ultimo nella vita dello spazio, e il mendicante può salire al più abbagliante splendore.
Non disprezziamo alcuno, non gloriamoci dei favori e delle superiorità transitorie; nessuno di noi sa ciò che il domani gli riserva.
* * *
Se Gesù promise l’entrata nel regno del cieli agli umili e ai piccoli, è perché la ricchezza e la potenza generano troppo spesso l’orgoglio, mentre una vita laboriosa ed oscura è l’elemento più certo di ogni morale progresso. Le tentazioni, i desideri, le passioni malsane, hanno minor forza per l’operaio occupato nel suo giornaliero lavoro; egli può abbandonarsi alla meditazione e sviluppare la propria coscienza, mentre l’uomo di mondo viene completamente assorbito nelle occupazioni frivole, dalla speculazione o dal piacere.
La ricchezza ci lega alla terra con vincoli così numerosi ed intimi, che la morte riesce raramente a romperli ed a liberarcene: da ciò le angosce del ricco nella vita futura. E’ pur facile comprendere che su questa terra nulla è veramente nostro: i beni terrestri a cui annettiamo tanto valore, non ci appartengono che in apparenza; mille altri prima di noi credettero possederli, mille altri dopo di noi si culleranno nella stessa illusione, e tutti, presto o tardi, dobbiamo abbandonarli. Il nostro corpo stesso è un prestito della natura che essa ci riprende, giunta la sua ora; i soli acquisti durevoli che noi possiamo fare sono quelli di ordine intellettuale e morale.
Dall’amore dei beni materiali nascono spesso l’invidia e la gelosia; quando questi vizi giungono ad allignare in noi, ci tolgono ogni riposo ed ogni pace, e la nostra vita diventa un tormento perpetuo. I successi, il benessere altrui, risvegliano nell’invidioso un’ardente bramosia, una febbre di possesso che lo consumano, ed egli non pensa più che a superare gli altri e ad acquistare ricchezze di cui non saprebbe neanche godere. Quale esistenza compassionevole! Inseguire senza posa una chimera di felicità, mettere in essa tutta la propria anima talché la sua perdita ci indurrebbe a disperazione, non è egli crearsi un supplizio continuo?
Eppure la ricchezza in sé non è male, essa è buona o cattiva secondo l’uso che se ne fa, l’importante è che il suo possesso non ci renda orgogliosi né ci indurisca il cuore: bisogna essere padroni e non schiavi della propria fortuna, mostrarsi superiori ad essa, disinteressati e generosi. Solo a queste condizioni la prova pericolosa della ricchezza riesce più facile a superarsi, non rammollisce il carattere e non risveglia quella sensualità che è quasi inerente al benessere.
La prosperità, dannosa per le tentazioni che suscita e per il fascino che esercita sugli spiriti, può tuttavia essere sorgente d’un gran bene, quando se ne disponga con saggezza e misura. Colla ricchezza si può contribuire al progresso intellettuale della umanità, al miglioramento delle masse, creando istituti di beneficenza o scuole, partecipando ai diseredati le scoperte della scienza e le rivelazioni del bello sotto tutte le sue forme. Ma principalmente la ricchezza è devoluta a coloro che lottano contro il bisogno, sotto forma di lavoro e di soccorso.
Consacrare le ricchezze alla soddisfazione esclusiva della vanità e dei piaceri, è perdere la propria esistenza e procurarsi un doloroso avvenire. Il ricco dovrà rendere conto del deposito affidato alle sue mani per il bene di tutti. Allorché la legge inesorabile e il grido della sua coscienza si leveranno contro di lui in quel mondo futuro ove l’oro non ha più valore, che risponderà egli all’accusa di aver stornato a suo esclusivo profitto ciò che doveva servire a sfamare e sollevare gli altri?
Quando lo spirito non si sente abbastanza forte contro le lusinghe della ricchezza, deve fuggire questa prova funesta e ricercare di preferenza una vita semplice, lontana dalle vertigini della fortuna e della grandezza! Se la sorte lo destina, malgrado tutto, a un posto elevato in questo mondo, non dovrà rallegrarsene, poiché la sua responsabilità e i suoi doveri aumenteranno in proporzione.
Non arrossite, in verun caso di appartenere alle classi inferiori della società: il compito degli umili è più meritorio, sono essi che sopportano tutti i pesi del progresso, e l’umanità vive e si alimenta del loro lavoro. Il povero deve essere sacro per tutti; povero volle nascere Gesù, la povertà, fu amata da Epitteto,
da Francesco d’Assisi, da Vincenzo di Paola, e da tanti nobili spiriti che vissero quaggiù, e che sapevano quanto il lavoro, le privazioni, le sofferenze, sviluppano le forze virili dell’anima, mentre la prosperità le atrofizza. Così, staccandosi dalle cose umane, gli uni trovarono la santificazione, gli altri la potenza del genio.
La povertà ci insegna a compassionare i dolori altrui coi farceli meglio conoscere, ci unisce a tutti i sofferenti, dà valore a mille cose insignificanti per coloro che sono felici. Chi non conobbe le lezioni della povertà ignorerà mai sempre uno dei lati più toccanti della vita.
Non invidiamo i ricchi il cui splendore apparente nasconde tante miserie morali, ricordiamoci che, sotto il cilizio e la povertà si nascondono spesso le più sublimi virtù, l’abnegazione e lo spirito di sacrificio, non dimentichiamo giammai che soltanto col lavoro e col sangue, col sacrificio continuo degli umili, le società vivono, si difendono e si rinnovellano.

DOPO LA MORTE di Léon Denis

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