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domenica 27 febbraio 2011

- SPIEGAZIONE DI ALCUNI FENOMENI RITENUTI SOVRANNATURALI Vista spirituale o psichica; doppia vista; sonnambulismo; sogni


22 - Il perispirito è l’anello di congiunzione tra la vita corporale e la vita spirituale; è per suo mezzo che lo Spirito incarnato è in rapporto continuo con gli Spiriti; è per suo mezzo, infine, che si compiono nell’uomo speciali fenomeni che non hanno la loro causa prima nella materia tangibile, e che appunto per questa ragione sembrano sovrannaturali.E’ nelle proprietà e nella radiazione del fluido perispiritico che bisogna ricercare la causa della doppia vista, o vista spirituale, che si può chiamare anche vista psichica: molte persone ne sono dotate, senza saperlo, come avviene che molti siano dotati di vista sonnambolica. Il perispirito è l’organo sensitivo dello Spirito; è per suo mezzo che lo Spirito incarnato ha la percezione delle cose spirituali che sfuggono invece ai sensi carnali. Per mezzo degli organi del corpo, la vista, l’udito e le diverse sensazioni sono localizzate e limitate alla percezione delle cose materiali; per mezzo del senso spirituale, o psichico, sono invece generalizzate; lo Spirito vede, ode e sente con tutto il suo essere ciò che è nella sfera di radiazione del
suo fluido perispiritico.
Questi fenomeni sono, nell’uomo, la manifestazione della vita spirituale; è l’anima che agisce al di fuori dell’organismo. Nella doppia vista, o percezione per mezzo del senso psichico, non si vede affatto attraverso gli occhi del corpo, benché spesso, per abitudine, l’uomo li diriga verso il punto sul quale si porta la sua attenzione; egli vede attraverso gli occhi dell’anima, e la prova sta nel fatto che vede altrettanto bene ad occhi chiusi, e al di là della portata della sua visuale; legge il pensiero figurato nel raggio fluidico (vedi n. 15) (4).
(4) Casi di doppia vista e di lucidità sonnambolica riferiti sulla Revue
Spirite: gennaio 1858, pag. 25; novembre 1858, pag. 213; luglio 1861, pag.
197; novembre 1865, pag. 352.
23 - Sebbene, durante la vita, lo Spirito sia indissolubilmente legato al corpo per mezzo del perispirito, non ne è schiavo al punto di non poter allungare la propria catena e di trasportarsi lontano, sia sulla terra, sia in qualche punto dello spazio. Lo Spirito rimpiange di essere legato al corpo, perché la sua vita normale è la libertà, mentre la vita corporale è quella di un servo della gleba. Lo Spirito, quindi, è ben felice di lasciare il suo corpo, come l’uccello è felice di lasciare la sua gabbia: approfitta di tutte le occasioni per liberarsi, e di tutti gli istanti in cui la sua presenza non è necessaria alla vita di relazione. E’ il fenomeno che viene designato con il nome di emancipazione dell’anima, e ha luogo sempre durante il sonno; tutte le volte che il corpo riposa ed i sensi sono inattivi, lo Spirito si libera (vedi Il Libro degli Spiriti, cap. VIII).
In quei momenti, lo Spirito vive della vita spirituale, mentre nel corpo vive soltanto della vita vegetativa; si trova, in un certo senso, nello stato in cui si troverà dopo la morte; percorre lo spazio, si intrattiene con gli amici e con altri Spiriti liberi od incarnati come lui.
Il legame fluidico che lo tiene unito al corpo non si rompe definitivamente se non con la morte; la separazione completa ha luogo soltanto con l’estinzione assoluta dell’attività del principio vitale. Finché il corpo vive, lo Spirito, a qualunque distanza si trovi, vi è immediatamente richiamato non appena la sua presenza è necessaria; allora riprende il corso della vita esteriore di relazione. Talvolta, al risveglio, conserva un ricordo delle sue peregrinazioni, un’immagine più o meno precisa che costituisce il sogno; in tutti i casi, ne
riporta intuizioni che gli suggeriscono idee e pensieri nuovi, e giustificano il noto proverbio: la notte porta consiglio.
In questo modo si spiegano anche certi fenomeni, caratteristici del sonnambulismo naturale e magnetico, della catalessi, della letargia, dell’estasi, e così via, che altro non sono se non le manifestazioni della vita
spirituale (5).
(5) Esempi di letargia e di catalessi in: Revue Spirite: Madame
Schwabenhaus, settembre 1858, pag. 225; la giovane catalettica di Souabe,
gennaio 1866, pag. 18.
24 - Poiché la vista spirituale non si realizza per mezzo degli occhi del corpo, la percezione delle cose non ha luogo per mezzo della luce normale: infatti, la luce materiale è fatta per il mondo materiale; per il mondo spirituale esiste una luce speciale, la cui natura ci è sconosciuta, ma che è senza alcun dubbio una delle proprietà del fluido etereo, recepita dalle percezioni visualidell’anima. Vi è quindi la luce materiale e la luce spirituale. La prima ha focolai circoscritti nei corpi luminosi; la seconda ha il suo focolaio dovunque;
è per questa ragione che non vi sono ostacoli alla vista spirituale, che non viene arrestata dalla distanza, né dall’opacità della materia; l’oscurità, per essa, non esiste affatto. Il mondo spirituale è quindi illuminato dalla luce spirituale, che ha i suoi effetti propri, così come il mondo materiale è illuminato dalla luce solare.
25 - L’anima avvolta nel suo perispirito porta quindi con sé un principio luminoso; poiché penetra la materia in virtù della sua essenza eterea, per la sua vista non esistono corpi opachi. Tuttavia, la vista spirituale non ha la stessa portata né la stessa penetrazione in tutti gli Spiriti; i puri Spiriti soltanto la possiedono in tutta la sua potenza;negli Spiriti inferiori, invece, è indebolita dalla grossolanità relativa del perispirito, che si interpone come una specie di nebbia.Tale vista si manifesta in gradi diversi negli Spiriti incarnati, con il fenomeno
della seconda vista, sia nel sonnambulismo naturale o magnetico, sia allo stato di veglia. Secondo il grado di potenza della facoltà, si dice che la lucidità è più o meno grande. E’ appunto grazie a queste facoltà che certe persone vedono l’interno dell’organismo e descrivono la causa delle malattie.
26 - La vista spirituale dà quindi percezioni speciali che, siccome non hanno per sede gli organi materiali, si operano in condizioni ben diverse da quelle della vita corporale. Per questa ragione, non ci si possono aspettare effetti identici, né si può pensare di sperimentarla con gli stessi procedimenti.
Compiendosi al di fuori dell’organismo, ha una mobilità che sfida tutte le previsioni. Bisogna studiarla nei suoi effetti e nelle sue cause, e non già considerandola simile alla vista ordinaria, poiché non è affatto destinata a
sostituire quest’ultima, salvo casi eccezionali che non possono venire considerati come regola.
27 - La vista spirituale è necessariamente incompleta ed imperfetta negli Spiriti incarnati, e di conseguenza è soggetta ad aberrazioni. Ha la sua sede nella stessa anima, perciò lo stato dell’anima deve influire sulle percezioni che essa dà. Secondo il grado del suo sviluppo, le circostanze e lo stato morale dell’individuo, può dare, sia nello stato di sonno sia nello stato di veglia:
1° la percezione di certi fatti materiali reali, come la conoscenza di avvenimenti che accadono lontano, i dettagli descrittivi di una località, le cause di una malattia ed i rimedi più confacenti;
2° la percezione di cose egualmente reali del mondo spirituale, come la vista degli Spiriti;
3° immagini fantastiche create dall’immaginazione, analoghe alle creazioni fluidiche del pensiero (vedere più sopra, n. 14).
Queste creazioni sono sempre in rapporto con le disposizioni morali dello Spirito che le genera. E’ così che il pensiero di persone fortemente imbevute e preoccupate da certe convinzioni religiose presenta loro l’inferno, con le sue fornaci, le sue torture e i suoi demoni, esattamente come esse se li raffigurano; talvolta è tutta un’epopea: i pagani vedevano l’Olimpo e il Tartaro, come i cristiani vedono l’inferno e il paradiso. Se al risveglio, o alla fine dell’estasi, queste persone conservano un ricordo preciso delle loro visioni, le scambiano per realtà che confermano le loro credenze, mentre in pratica si tratta soltanto del prodotto dei loro pensieri (6).
(6) E’ in questo modo che si possono spiegare le visioni di suor Elmerich che,
riportandosi al tempo della passione del Cristo, disse di avere visto cose
materiali che non sono mai esistite nei libri che ella aveva letto; quelle di
madame Cantanille (Revue Spirite, agosto 1866, pag. 240), ed una parte di quelle di Swedenborg.

Vi è quindi una scelta assai rigorosa da fare nelle visioni estatiche, prima di accettarle. Il rimedio alla credulità eccessiva, da questo punto di vista, consiste nello studio delle leggi che reggono il mondo spirituale.
28 - I sogni propriamente detti presentano le tre nature di visione descritte più sopra. Alle prime due appartengono i sogni che contengono previsioni, presentimenti e avvertimenti (7); nella terza, cioè nella creazione fluidica del pensiero, si può trovare la causa di certe immagini fantastiche che non hanno
nulla di reale in rapporto alla vita materiale ma che, per lo Spirito, hanno una realtà talvolta così grande che il corpo ne subisce il contraccolpo: vi sono stati casi in cui i capelli sono incanutiti, sotto l’impressione di un sogno.
(7) Vedere più avanti, cap. 16, Teoria della prescienza, nn. 1, 2, 3.
Queste creazioni possono essere provocate dalla credulità esaltata, da ricordi retrospettivi, dai gusti, dai desideri, dalle passioni, dalla paura, dal rimorso, dalle preoccupazioni abituali, dalle necessità del corpo, o da un imbarazzo nelle funzioni dell’organismo, e infine da altri Spiriti, per uno scopo benevolo o malevolo, a seconda della loro natura (8).
(8) Revue Spirite, giugno 1866, pag. 172; settembre 1866, pag. 284; Il Libro
degli Spiriti, cap. VIII, n. 400.

Fonte : Le Rivelazioni degli Spiriti (Allan Kardec)

PRIMA FORMAZIONE DEGLI ESSERI VIVENTI


1 - Vi fu un tempo in cui gli animali non esistevano: quindi, hanno avuto un inizio. Si è vista apparire ogni specie via via che il globo terrestre acquisiva le condizioni necessarie alla sua esistenza: questo è certo. Come si sono formati i primi individui di ogni specie? Si comprendeva benissimo che, se vi è stata una prima coppia, gli individui si sono moltiplicati: ma quella prima coppia,da dove è uscita? Ecco uno dei misteri pertinenti al principio delle cose, e sui quali non si può fare altro che formulare ipotesi. Se la scienza non può ancora
risolvere completamente i problemi, per lo meno può mettere sulla buona strada.
2 - Una delle prime domande che si presentano è la seguente: Ogni specie animale discende da una prima coppia, oppure da numerose coppie create o, se si preferisce, germogliate simultaneamente in luoghi diversi?
Quest’ultima supposizione è la più probabile: si può anzi dire che derivi dall’osservazione. Infatti, lo studio degli strati geologici attesta la presenza, nei terreni della stessa formazione, e in proporzioni enormi, della stessa specie sui punti più distanti del globo. Questa moltiplicazione, così generale e in un certo senso contemporanea, sarebbe stata impossibile partendo da un tipo primitivo unico.
D’altra parte, la vita di un individuo, e soprattutto di un individuo nascente, è sottoposta a tante eventualità, che tutta una creazione avrebbe potuto essere compromessa senza la pluralità dei tipi, il che implicherebbe un’imprevidenza inammissibile da parte del sovrano Creatore. D’altra parte, se un tipo ha potuto formarsi in una certa zona, può essersi formato in più zone, per la medesima causa.
Tutto concorre a dimostrare che vi è stata una creazione simultanea e multipla delle prime coppie di ogni specie animale e vegetale.
3 - La formazione dei primi esseri viventi si può dedurre, per analogia, dalla stessa legge in base alla quale si sono formati e si formano tutti i giorni i corpi inorganici. Via via che si approfondiscono le leggi della natura, si scorgono gli ingranaggi che, a prima vista, sembravano tanto complicati, e li si vede semplificarsi e confondersi nella grande legge di unità che presiede all’intera opera della creazione. Tutto questo si potrà comprendere meglio quando ci si sarà resi conto della formazione dei corpi inorganici, che ne è il primo gradino.
4 - La chimica considera come elementari un certo numero di sostanze, quali ad esempio l’ossigeno, l’idrogeno, l’azoto, il carbonio, il cloro, lo iodio, il fluoro, lo zolfo, il fosforo e tutti i metalli. Mediante la loro combinazione, essi formano i corpi composti: gli ossidi, gli acidi, gli alcali, i sali e le innumerevoli varietà che risultano dalle combinazioni di questi.
La combinazione di due corpi per formarne un terzo esige un particolare concorso di circostanze; per esempio un determinato grado di calore, di aridità o di umidità, oppure il movimento o il riposo, o una corrente elettrica, e così via. Se queste condizioni non esistono, la combinazione non ha luogo.
5 - Quando si ha una combinazione, i corpi componenti perdono le loro proprietà caratteristiche, mentre il composto che ne risulta ne possiede di nuove, diverse da quelle dei suoi costituenti. E’ così, per esempio, che
l’ossigeno e l’idrogeno, gas invisibili, quando si compongono chimicamente formano l’acqua, che è liquida, solida o allo stato di vapore, a seconda della temperatura. Nell’acqua non vi sono più, a rigor di termini, né ossigeno né idrogeno, ma un corpo nuovo; decomponendo tuttavia l’acqua, i due gas,ridivenuti liberi, recuperano le loro proprietà, e l’acqua non c’è più. La stessa quantità d’acqua può in tal modo, essere alternativamente decomposta e ricomposta all’infinito.
6 - La composizione e la decomposizione dei corpi hanno luogo a seconda del grado di affinità che i principi elementari hanno l’uno per gli altri. La formazione dell’acqua, per esempio, risulta dall’affinità reciproca
dell’ossigeno e dell’idrogeno; ma se si mette a contatto con l’acqua un corpo che abbia per l’ossigeno un’affinità maggiore di quella che questo ha per l’idrogeno, l’acqua si decompone: l’ossigeno viene assorbito, l’idrogeno diventa libero, e non vi è più acqua.
7 - I corpi composti si formano sempre secondo proporzioni definite, cioè per mezzo della combinazione di una quantità determinata di principi costituenti.Così, per formare l’acqua, è necessaria una parte di ossigeno e due parti di idrogeno. Se due parti di ossigeno si combinano con due parti di idrogeno, al posto dell’acqua si ottiene il perossido di idrogeno, un liquido corrosivo, che è tuttavia formato dagli stessi elementi che formano l’acqua, ma in proporzione diversa.
8 - In poche parole, questa è la legge che presiede alla formazione di tutti i corpi in natura. La varietà immensa di questi corpi è il risultato di un numero piccolissimo di principi elementari combinati in proporzioni differenti. In tal modo l’ossigeno, combinato in certe proporzioni con il carbonio, lo zolfo, il fosforo, forma gli acidi carbonico, solforico, fosforico; l’ossigeno e il ferro formano l’ossido di ferro, cioè la ruggine; l’ossigeno e il piombo, tutti e due innocui, danno luogo agli ossidi di piombo, come il litargirio, la biacca e il minio, che sono velenosi. L’ossigeno, con i metalli chiamati calcio, sodio potassio, forma la calce, la soda, la potassa. La calce, unita all’acido carbonico,forma i carbonati di calcio, o pietre calcaree, come il marmo, il gesso, la pietra
da costruzione, le stalattiti delle grotte; unita all’acido solforico, forma il solfato di calce o gesso, e l’alabastro. unita all’acido fosforico forma il fosfato di calcio, base solida delle ossa; il cloro e l’idrogeno formano l’acido cloridrico o idroclorico; il cloro e il sodio formano il cloruro di sodio, che è il sale marino.
9 - Tutte queste combinazioni, e migliaia di altre, si possono ottenere artificialmente, su piccola scala, nei laboratori di chimica; ma si cambiano spontaneamente su scala vastissima nel grande laboratorio della natura.
La terra, alla sua origine, non conteneva affatto tutte queste combinazioni di materie, ma soltanto i loro principi costituenti, allo stato volatile. Quando le terre calcaree e non diventate a lungo andare pietrose, si sono depositate sulla sua superficie, non erano già formate; ma nell’aria si trovavano, allo stato gassoso, tutte le sostanze primitive; tali sostanze, precipitate per effetto del raffreddamento, sotto l’influsso di circostanze favorevoli, si sono combinate secondo il grado della loro affinità molecolare; è allora che si sono formate le
diverse varietà di carbonati, di solfati e così via, dapprima in soluzione nelle acque, e poi depositate sulla superficie del suolo.
Supponiamo che, per una causa qualunque, la terra ritorni al suo primitivo stato di incandescenza: ebbene, tutto questo si scomporrebbe, gli elementi si separerebbero, tutte le sostanze fusibili si fonderebbero, tutte quelle volatili si volatilizzerebbero. Poi, un secondo raffreddamento porterebbe ad una nuova precipitazione, e tornerebbero nuovamente a formarsi le vecchie combinazioni.
10 - Queste considerazioni dimostrano che la chimica era necessaria per la comprensione della Genesi.
Prima di conoscere le leggi dell’affinità molecolare, era impossibile comprendere la formazione della terra. Questa scienza ha illuminato il problema di una luce assolutamente nuova, come l’astronomia e la geologia
ne hanno illuminato altri aspetti.
11 - Nella formazione dei corpi solidi, uno dei fenomeni più straordinari è quello della cristallizzazione, che consiste nella forma regolare caratteristica di certe sostanze dal momento del loro passaggio dallo stato liquido o gassoso allo stato solido. Questa forma, che varia a seconda della natura della sostanza, è generalmente quella di solidi geometrici, come ad esempio ilprisma, il romboide, il cubo, la piramide. Tutti conoscono i cristalli dello zucchero canditi; i cristalli di rocca, o silice cristallizzata, sono prismi a sei facce che terminano in una piramide egualmente esagonale. Il diamante è carbonio puro, o carbone cristallizzato. I disegni che si producono sui vetri, durante l’inverno, sono dovuti alla cristallizzazione del vapore acqueo durante il congelamento, sotto forma di aghi prismatici.
La disposizione regolare dei cristalli deriva dalla forma particolare delle molecole di ciascun corpo; queste particelle, infinitamente piccole per noi, e che tuttavia occupano un certo spazio, sollecitate le une verso le altre dall’attrazione molecolare, si dispongono e si giustappongono, secondo l’esigenza della loro forma, in modo da prendere ognuna il suo posto attorno al nucleo o primo centro di attrazione, e da formare un insieme simmetrico.
La cristallizzazione si opera soltanto sotto l’influsso di certe circostanze favorevoli, senza le quali non può avere luogo; il grado di temperatura ed il riposo sono condizioni essenziali. Si comprende che un calore troppo forte, tenendo distanti tra loro le molecole, non permetterebbe loro di condensarsi; e se l’agitazione si oppone alla loro disposizione simmetrica, esse non formeranno che una massa confusa e irregolare, e quindi non si avrà la cristallizzazione propriamente detta.
12 - La legge che presiede alla formazione dei minerali porta naturalmente alla formazione dei corpi organici.
L’analisi chimica ci dimostra che tutte le sostanze vegetali e animali sono composte dagli stessi elementi che compongono i corpi inorganici. Gli elementi che hanno il ruolo principale sono l’ossigeno, l’idrogeno, l’azoto e il carbonio; gli altri vi si trovano soltanto accessoriamente. Come nel regno minerale, la differenza di proporzione nella combinazione di questi elementi produce tutte le varietà di sostanze organiche e le loro proprietà diverse, come ad esempio i muscoli, le ossa, il sangue, la bile, i nervi, la materia cerebrale, il grasso degli animali, la linfa, il legno, le foglie, i frutti, le essenze, gli oli, le resine ecc., nei vegetali. Così, nella formazione degli animali e delle piante, non entra alcun corpo speciale che non si possa trovare nel regno minerale(1).
(1) La seguente tabella, per mezzo dell’analisi di alcune sostanze, mostra la differenza di proprietà che risulta dalla sola differenza nella proporzione degli elementi costitutivi. Su 100 parti:
Carbonio Idrogeno Ossigeno Azoto
Zucchero di canna 42,470 6,900 56,510 - - -
Zucchero d’uva 36,710 6,780 50,630 - - -
Alcool 51,980 13,700 34,320 - - -
Olio d’oliva 77,210 13,360 9,430 - - -140
Olio di noce 79,774 10,570 9,122 0,534
Grasso 78,996 11,700 9,304
Fibrina 53,360 7,021 19,685 19,934
13 - Alcuni esempi usuali faranno comprendere le trasformazioni che si operano nel regno organico a mezzo della sola modificazione degli elementi costitutivi.
Nel succo d’uva non vi è ancora né vino né alcole, ma semplicemente acqua e zucchero. Quando questo succo è arrivato a maturazione e si trova nelle circostanze propizie, vi si produce un travaglio intimo, al quale viene dato il nome di fermentazione. In questo travaglio, una parte dello zucchero si decompone: l’ossigeno, l’idrogeno e il carbonio si separano e si combinano nelle proporzioni volute per fare l’alcool; così, bevendo succo d’uva, in realtà non si beve affatto alcool, poiché non esiste ancora: si forma dalle parti costituenti dell’acqua e dello zucchero, senza che vi sia, in pratica, una sola molecola in più in meno.
Nel pane e nei legumi che si mangiano, non vi sono certamente né carne, né sangue, né ossa, né bile, né materia cerebrale, eppure questi stessi alimenti, decomponendosi e ricomponendosi attraverso il lavoro della digestione, vanno a produrre queste diverse sostanze grazie alla sola trasformazione dei loro elementi costitutivi.
Nel seme di un albero non vi sono né legno, né foglie, né fiori, né frutti, ed è un errore puerile credere che l’albero tutto intero, in forma microscopica, si trovi dentro al seme; non vi è neppure, in quel seme, la quantità di ossigeno, di idrogeno e di carbonio necessaria per formare una sola foglia dell’albero. Il seme racchiude il germe che si schiude quando trova condizioni favorevoli: quel germe cresce grazie ai succhi che trae dalla terra e ai gas che aspira dall’aria; questi succhi, che non sono né legno, né foglie, né fiori, né frutti,infiltrandosi nella pianta ne formano la linfa, come gli alimenti, negli animali, formano il sangue. Questa linfa, portata per mezzo della circolazione in tutte le parti del vegetale, secondo gli organi in cui giunge e dove subisce una
speciale elaborazione, si trasforma in legno, foglie, frutti, come il sangue si trasforma in carne, ossa, bile, eccetera; eppure si tratta sempre degli stessi elementi: ossigeno, idrogeno, azoto e carbonio, combinati in modo diverso.
14 - Le diverse combinazioni degli elementi per la formazione delle sostanze minerali, vegetali e animali, non possono quindi compiersi se non negli ambienti e nelle circostanze propizie; al di fuori di tali circostanze, i principi elementari si trovano in una specie di inerzia. Ma, quando le circostanze sono favorevoli, incomincia un lavoro di elaborazione; le molecole si mettono in movimento, si agitano, si attirano, si avvicinano, si separano in virtù della legge delle affinità, e per mezzo delle loro combinazioni multiple,compongono l’infinita varietà delle sostanze. Quando le condizioni cessano, il lavoro si interrompe all’improvviso, per ricominciare quando le condizioni tornano a presentarsi di nuovo. E’ in questo modo che la vegetazione si attiva,rallenta, cessa e riprende, sotto l’azione del calore, della luce, dell’umidità, del freddo o dell’aridità; è per questo che una data pianta prospera in un certo clima o in un certo terreno, e intristisce o muore in un altro.
15 - Ciò che avviene quotidianamente sotto i nostri occhi può servire a metterci sulla buona strada per comprendere ciò che è avvenuto all’origine dei tempi, poiché le leggi della natura sono invariabili.
Poiché gli elementi costitutivi degli esseri organici e degli esseri inorganici sono gli stessi, e li vediamo incessantemente, sotto l’influsso di certe circostanze, formare le pietre, le piante e i frutti, si può concludere che i corpi dei primi esseri viventi si sono formati, come le prime pietre, per mezzo dell’unione di molecole elementari in virtù della legge di affinità, via via che le condizioni della vitalità del globo sono state propizie a questa o a quella specie.
La somiglianza delle forme e dei colori, nella riproduzione degli individui di ogni specie, può essere paragonata alla somiglianza della forma di ogni specie di cristallo. Le molecole, giustapponendosi sotto l’influsso della stessa legge,producono un insieme analogo.

Fonte : Le Rivelazioni degli Spiriti (Allan Kardec)

CATACLISMI FUTURI


11 - I grandi sconvolgimenti della terra hanno avuto luogo nell’epoca in cui la crosta solida, a causa del suo scarso spessore, offriva soltanto una debole resistenza all’effervescenza delle materie incandescenti dell’interno; ma sono diminuiti di intensità e di frequenza via via che la crosta si è consolidata.
Numerosissimi sono i vulcani ormai spenti; altri sono stati ricoperti da terrenidi formazione posteriore.
Certamente, potranno prodursi ancora perturbazioni locali, in conseguenza di eruzioni vulcaniche e dell’apertura di qualche nuovo vulcano, dell’inondazione improvvisa di certi territori; alcune isole potranno uscire dal mare, mentre altre vi sprofonderanno; ma il tempo dei cataclismi generali, come quelli che hanno contrassegnato i grandi periodi geologici, è ormai passato. La terra ha assunto un assetto che, senza essere assolutamente invariabile, pone ormai il genere umano al riparo dalle perturbazioni generalizzate, a meno che queste vengano provocate da cause ignote, estranee al nostro globo, e che nulla può farci prevedere.
12 - Per quanto riguarda poi le comete, oggi si è completamente tranquilli circa la loro influenza, più salutare che nociva, in quanto esse sembrano destinate a rivitalizzare, se così ci si può esprimere, i mondi riportando i loro principi vitali che hanno raccolto durante le loro corse attraverso lo spazio, e nelle vicinanze dei soli. Le comete sarebbero quindi causa di proprietà, più che messaggere di ventura.
A causa della loro natura fluidica, che oggi è ormai provata e constatata (cap.6, n. 28 e segg.), non è il caso di temere uno scontro violento; infatti, nel caso che una di esse si scontrasse con la terra, quest’ultima passerebbe attraverso la cometa, come attraverso ad una nebbia.
La loro coda non è per nulla più temibile: non è altro che il riflesso della luce solare nell’immensa atmosfera che le circonda, poiché è costantemente diretta nella direzione opposta a quella del sole, e cambia orientamento a seconda della posizione di quell’astro. Tale materia gassosa potrebbe così in conseguenza alla rapidità del loro movimento, formare una specie di chioma come la scia che segue una nave, o come il fumo che segue una locomotiva.
Del resto, sono numerose le comete che già si sono avvicinate alla terra senza causarvi il benché minimo danno; e, data la densità rispettiva, la terra eserciterà sulla cometa un’attrazione più grande di quella che la cometa eserciterà sulla terra. Soltanto un residuo dei vecchi pregiudizi può ispirare
timori sulla loro presenza .
(6) La cometa del 1861 ha attraversato l’orbita della terra a ventiquattro ore di distanza e in anticipo su questa, che dovette trovarsi perciò immersa nella sua atmosfera, senza che ne sia derivato il minimo inconveniente.
13 - Bisogna del pari relegare tra le ipotesi chimeriche la possibilità dello scontro della terra con un altro pianeta: la regolarità e l’invariabilità delle leggi che presiedono i movimenti dei corpi celesti tolgono ogni probabilità a questo scontro.
Tuttavia, la terra avrà una fine: quale? Qui siamo nel campo delle congetture; ma, poiché la terra è ancora lontana dalla perfezione che può raggiungere, e dalla vetustà che sarebbe un segno di declino, i suoi attuali abitanti hanno la certezza che la fine non verrà certo nel loro tempo (vedi cap. 6, n. 48 e segg.).
14 - Fisicamente, la terra ha conosciuto le convulsioni della sua infanzia: ormai è entrata in un periodo di stabilità relativa; nel periodo del progresso pacifico, che si compie con il ritorno regolare degli stessi fenomeni fisici, e con il concorso intelligente dell’uomo. Ma la terra è ancora nel pieno del travaglio della gestazione del progresso morale: questa sarà la causa dei suoi maggiori sconvolgimenti. Fino a quando l’umanità sarà
cresciuta a sufficienza in perfezione, mediante l’intelligenza e l’osservanza delle leggi divine, le perturbazioni più grandi saranno opera più degli uomini che della natura: saranno cioè più morali e sociali, o comunque causate dagli uomini, che fisiche.

Fonte : Le Rivelazioni degli Spiriti (Allan Kardec) 

GLI ESSERI VIVENTI SI DISTRUGGONO L’UN L’ALTRO



20 - La distruzione reciproca degli esseri viventi è una delle leggi della natura che, a prima vista, sembrano conciliarsi assai poco con la bontà di Dio. Ci si chiede perché abbia imposto loro la necessità di distruggersi a vicenda per nutrirsi gli uni a spese degli altri. Chi non vede altro che la materia, e limita la propria visione alla vita presente, ritiene che questa sia in effetti un’imperfezione dell’opera divina. In generale,gli uomini giudicano la perfezione di Dio dal loro punto di vista; il loro giudizio è la misura della sua saggezza, e ritengono che Dio non possa fare di meglio di quanto farebbero loro stessi. Poiché la loro vista corta non li mette in grado di giudicare l’insieme, non comprendono che da un male apparente può derivare un bene reale. La conoscenza del principio spirituale, considerato nella sua vera essenza, e della grande legge d’unità che costituisce l’armonia del creato è l’unica che possa dare all’uomo la chiave di questo mistero, e mostrargli la saggezza provvidenziale e l’armonia proprio là dove non vedrebbe altro che un’anomalia e una contraddizione.
21 - La vera vita, dell’animale come dell’uomo, non sta nell’involucro corporeo, così come non sta nell’abbigliamento: sta nel principio intelligente che preesiste e sopravvive al corpo. Tale principio ha bisogno del corpo per svilupparsi attraverso il lavoro che deve compiere sulla materia bruta; il corpo si consuma in questo lavoro, ma lo Spirito non si consuma: al contrario, ne esce ogni volta più forte, più lucido e più capace. Che importa, quindi, se lo Spirito cambia più o meno involucro?E’ pur sempre Spirito; è esattamente come se un uomo rinnovasse cento volte all’anno il suo guardaroba: continuerebbe pur sempre ad essere lo stesso
uomo.
Per mezzo dello spettacolo incessante della distruzione, Dio insegna agli uomini che devono attribuire scarsa importanza all’involucro materiale, e suscita in loro l’idea della vita spirituale, inducendoli a desiderarla come un compenso.Dio, si dirà, non poteva arrivare allo stesso risultato con altri mezzi, e senza costringere gli esseri viventi a distruggersi l’un l’altro? Se nella sua opera tutto è saggezza, noi dobbiamo supporre che questa saggezza non ha sbagliato su questo punto, come non ha sbagliato sugli altri; se non comprendiamo,
dobbiamo accusarne la pochezza dei nostri progressi. Tuttavia, noi possiamo sforzarci di ricercarne la ragione, prendendo come bussola questo principio: Dio deve essere infinitamente giusto e saggio. Cerchiamo quindi in tutto la sua giustizia e la sua saggezza, ed inchiniamoci davanti a ciò che supera la nostra capacità di comprensione.
22 - Questa distruzione presenta una prima utilità, che è puramente fisica, è vero: i corpi organici vivono solo grazie alle materie organiche, poiché queste ultime sono le sole a contenere gli elementi nutritivi necessari alla loro trasformazione. I corpi, strumenti d’azione del principio intelligente, hanno bisogno di essere incessantemente rinnovati; perciò la Provvidenza fa sì che servano al loro sostentamento reciproco; è per questo che gli esseri si nutrono gli uni degli altri; allora il corpo si nutre del corpo, ma lo Spirito non viene né
annientato, né alterato: si spoglia semplicemente del suo involucro .
23 - Vi sono inoltre considerazioni morali di un ordine più elevato.La lotta è necessaria allo sviluppo dello Spirito; è nella lotta che esso esercita le sue facoltà. Colui che attacca per procurarsi il nutrimento e colui che si difende per conservare la vita, fanno ricorso all’astuzia e all’intelligenza, e per questa ragione accrescono le proprie forze intellettuali. Uno dei due soccombe: ma in realtà, che cosa ha tolto al più debole il più forte o il più abile? Il suo abito di carne, null’altro: lo Spirito, che non è morto, in seguito ne prenderà un altro.
24 - Negli esseri inferiori della creazione, in quelli che non possiedono il senso morale, o in cui l’intelligenza non ha ancora sostituito l’istinto, la lotta non può avere come movente che la soddisfazione di un bisogno materiale; ora, uno dei bisogni materiali più imperiosi è quello del nutrimento; essi quindi lottano unicamente per vivere, cioè per prendere o per difendere una preda, poiché non possono essere stimolati da un motivo più elevato. E’ in questo primo periodo che l’anima si elabora e si adatta alla vita. Nell’uomo, vi è un periodo di transizione in cui si distingue a malapena dal bruto; nelle epoche più remote, domina l’istinto animale, e la lotta ha ancora come movente la soddisfazione dei bisogni materiali; più tardi, l’istinto animale e il sentimento morale si controbilanciano, e allora l’uomo lotta, non più per nutrirsi, ma per soddisfare la sua ambizione, il suo orgoglio, il bisogno di dominare; e per ottenere tutto questo, deve ancora distruggere. Ma, via via
che il senso morale prende il sopravvento, la sensibilità si sviluppa, il bisogno di distruggere diminuisce, finisce addirittura per cancellarsi e per apparire odioso: allora l’uomo ha orrore del sangue.Tuttavia, la lotta è sempre necessaria allo sviluppo dello Spirito, poiché,anche pervenuto al punto che a noi sembra culminante, è ben lontano dall’essere perfetto; soltanto a prezzo della sua attività acquisisce conoscenze ed esperienza e si spoglia delle ultime vestigia dell’animalità: ma a partire da quel momento, la lotta, che era sanguinosa e brutale, diventa puramente intellettuale; l’uomo lotta contro le difficoltà e non più contro i suoi simili .
(3) Senza pronunciare giudizi sulle conclusioni che si potrebbero trarre da questo principio, noi abbiamo soltanto voluto dimostrare, con questa spiegazione, che la distruzione reciproca degli esseri viventi non infirma per nulla la saggezza divina, e che tutto si concatena per mezzo delle leggi della natura. Questa concatenazione si infrange necessariamente se si fa astrazione dal principio spirituale; ecco perché tanti problemi sono
insolubili, se non si considera altro che la materia.
Le dottrine materialiste portano in sé il principio della propria distruzione: hanno contro di loro non soltanto il loro antagonismo nei confronti delle aspirazioni dell’universalità degli uomini, le loro conseguenze morali che le
faranno rifiutare come dissolvitrici della società, ma anche il bisogno di rendersi conto di tutto ciò che nasce dal progresso. Lo sviluppo intellettuale porta l’uomo alla ricerca delle cause; ora, se appena si riflette, si riconosce subito che il materialismo non può spiegare tutto. Come potranno mai prevalere dottrine che non soddisfano né il cuore, né la ragione, né l’intelligenza, che lasciano in dubbio le questioni più vitali? Il progresso delle idee ucciderà il materialismo, così come ha ucciso il fanatismo.

Fonte : Ie Rivelazioni degli Spiriti (Allan Kardec)

LA PROVVIDENZA


20 - La provvidenza è la sollecitudine di Dio per le sue creature. Dio è dovunque, vede tutto, presiede a tutto, anche alle più piccole cose: è in questo che consiste l’azione provvidenziale.
«Come può Dio, tanto grande, tanto potente, tanto superiore a tutto, interessarsi a particolari infimi, preoccuparsi delle più piccole azioni e dei più piccoli pensieri di ogni individuo?» E’ la domanda che si rivolge l’incredulo; e conclude che, ammettendo l’esistenza di Dio, la sua azione deve estendersi soltanto sulle leggi generali dell’universo, e l’universo funziona da tutta l’eternità in virtù di queste leggi cui è sottomessa ogni creatura nella propria sfera di attività, senza che vi sia bisogno del concorso incessante della Provvidenza.
21 - Nel loro attuale stato di inferiorità, gli uomini possono difficilmente comprendere Dio infinito, perché essi stessi sono finiti e limitati, per questo se lo raffigurano finito e limitato quanto loro; lo rappresentano come un
essere circoscritto, e se ne fanno un’immagine che somiglia a loro. I nostri dipinti che lo presentano sotto aspetto umano contribuiscono non poco a mantenere questo errore ben radicato nello spirito delle masse, le quali adorano in lui più la forma che il pensiero. Per la stragrande maggioranza, egli è un potente sovrano assiso su di un trono inaccessibile, perduto nell’immensità dei cieli; e poiché le loro facoltà e le loro percezioni sono limitate,costoro non comprendono che Dio possa degnarsi di intervenire direttamente nelle piccole cose.
22 - Poiché l’uomo si trova nell’impossibilità di comprendere l’essenza stessa della Divinità, può farsene soltanto un’idea approssimativa, ricorrendo a paragoni necessariamente imperfetti, ma che comunque possono mostrargli la possibilità di quanto, a prima vista, gli appare impossibile.
Immaginiamo un fluido tanto sottile da penetrare tutti i corpi; essendo privo d’intelligenza, agisce meccanicamente e con le sole forze materiali; ma se noi immaginiamo che questo fluido sia dotato d’intelligenza, di facoltà sensitive e percettive, esso agirà non più ciecamente, ma con discernimento, volontà e
libertà; vedrà, udirà e sentirà.
23 - Le proprietà del fluido perispiritico possono darcene un’idea. Non è intelligente di per se stesso, poiché è materia; ma è il veicolo del pensiero, delle sensazioni e delle percezioni dello Spirito. Il fluido perispiritico non è il pensiero dello Spirito, bensì l’agente e l’intermediario di questo pensiero; poiché lo trasmette, ne resta in qualche modo impregnato; e dato che noi siamo nell’impossibilità di isolarlo, sembra che il pensiero formi una cosa sola con il fluido, così come il suono sembra formare una sola cosa con l’aria, in modo che possiamo, per così dire, materializzarlo. Come diciamo che l’aria diviene sonora, potremmo, scambiando l’effetto per la causa, dire che il fluido diviene intelligente.
24 - Sia o non sia così il pensiero di Dio, agisca cioè direttamente o attraverso la mediazione di un fluido, per comprendere meglio rappresentiamolo sotto la forma concreta di un fluido intelligente che riempie l’universo infinito e compenetra tutte le parti della creazione: l’intera natura è immersa nel fluido divino. Ora, in virtù del principio per cui le parti di un tutto sono della stessa natura, e hanno le stesse proprietà del tutto, ogni atomo di questo fluido, se ci si può esprimere così, possiede il pensiero, cioè gli attributi essenziali della Divinità, e questo fluido è dovunque: quindi tutto è sottoposto alla sua azione intelligente, alla sua preveggenza, alla sua sollecitudine; non vi è un solo essere, per quanto infimo, che non ne sia saturato in qualche modo.
Noi siamo quindi, costantemente, alla presenza della Divinità; non una sola delle nostre azioni può venire sottratta al suo sguardo; a ragione si afferma che Dio legge nelle pieghe più profonde del nostro cuore. Noi siamo in lui, come egli è in noi, secondo le parole del Cristo. Per estendere la sua sollecitudine a tutte le sue creature, Dio non ha perciò bisogno di abbassare lo sguardo dall’alto dell’immensità; le nostre preghiere, per essere udite da lui, non hanno bisogno di varcare lo spazio, né di essere pronunciate con voce sonante perché i nostri pensieri si ripercuotono continuamente in lui. I nostri pensieri sono come i rintocchi di una campana
che fanno vibrare tutte le molecole dell’aria dell’ambiente.
25 - Non intendiamo affatto materializzare la Divinità; l’immagine del fluido universale intelligente non è altro, sia chiaro, che un paragone; e tuttavia riesce a dare di Dio un’idea più giusta dei dipinti che lo raffigurano sotto l’aspetto umano; ha lo scopo di far comprendere perché Dio è dappertutto e può occuparsi di tutto.
26 - Noi abbiamo continuamente sotto gli occhi un esempio che può darci un’idea del modo in cui l’azione di Dio può esercitarsi sulle parti più intime di tutti gli esseri, e come di conseguenza, le impressioni più sottili della nostra anima giungano fino a lui. Questo è tratto dall’insegnamento dato al riguardo
da uno Spirito.
27 - «L’uomo è un piccolo mondo, diretto dallo Spirito, e in cui il corpo è il principio che viene diretto. In questo universo, il corpo rappresenterà una creazione il cui Spirito sarà Dio. (Voi comprenderete che qui si tratta di una questione di analogia, non di identità). Le membra di questo corpo, i diversi organi che lo compongono, i suoi muscoli, i suoi nervi, le sue articolazioni, sono altrettante individualità materiali, se così si può dire, localizzate in uno speciale luogo del corpo; sebbene il numero delle sue parti costituenti, tanto
varie e diverse per natura, sia considerevole, nessuno può dubitare che può produrre movimenti, che una qualunque impressione non può avere luogo in un punto particolare senza che lo Spirito ne abbia coscienza. Vi sono sensazioni diverse, simultaneamente, in più punti? Lo Spirito le sente tutte, le discerne, le analizza, assegna a ciascuna la sua causa e il suo luogo d’azione, attraverso la mediazione del fluido perispiritico.
«Un fenomeno analogo avviene tra le creature e Dio. Dio è dovunque, nella natura, come lo Spirito è dovunque nel corpo; tutti gli elementi della creazione sono in rapporto costante con lui, come tutte le cellule del corpo umano sono in contatto immediato con l’essere spirituale; non c’è quindi ragione perché fenomeni dello stesso ordine non si producano nello stesso modo nell’uno e nell’altro caso.
«Un arto si agita: lo Spirito lo sente; una creatura pensa: Dio lo sa. Tutte le membra sono in movimento, i diversi organi vibrano; lo Spirito sente ogni manifestazione, le distingue e le localizza. Le diverse creazioni, le diverse creature si agitano, pensano, agiscono in modi diversi, e Dio sa tutto ciò che avviene, assegna a ciascuna ciò che le spetta.
«Si può dedurre nello stesso modo la solidarietà della materia e dell’intelligenza, la solidarietà di tutti gli esseri di un mondo, quella di tutti i mondi, e infine quella delle creazioni e del Creatore»
28 - Noi comprendiamo l’effetto, e questo è già molto; dall’effetto risaliamo alla causa, e ne giudichiamo la grandezza dalla grandezza dell’effetto; ma la sua essenza intima ci sfugge, come ci sfugge quella delle cause di una quantità di fenomeni. Noi conosciamo gli effetti dell’elettricità, del calore, della luce,della gravitazione; li calcoliamo, eppure ignoriamo la natura intima del principio che li produce. E’ quindi più razionale negare il principio divino, solo perché non lo comprendiamo?
29 - Nulla impedisce di ammettere, per il principio d’intelligenza sovrana, un centro d’azione, un focolaio principale che risplende incessantemente, inondando l’universo dei suoi effluvi come il sole l’inonda di luce. Ma dov’è questo focolaio? Questo non può dirlo nessuno. E’ probabile che non sia fisso in un punto determinato, così come non è fissa la sua azione, e che percorra incessantemente le regioni dello spazio sconfinato. Se i semplici Spiriti possiedono il dono dell’ubiquità, tale facoltà, in Dio, deve essere senza limiti.
Poiché Dio riempie l’universo, si potrebbe anche ammettere, a titolo d’ipotesi, che questo focolaio non ha bisogno di spostarsi, e che si formi su tutti i punti in cui la volontà sovrana ritenga giusto prodursi; e quindi si potrebbe dire che è dovunque e non è in nessun luogo.
30 - Di fronte a questi problemi insondabili, la nostra ragione deve inchinarsi. Dio esiste: non possiamo dubitarne; è infinitamente giusto e buono: è la sua essenza; la sua sollecitudine si estende a tutto: noi lo
comprendiamo; quindi non può volere che il nostro bene, e perciò dobbiamo avere fiducia in lui: questo è l’essenziale; per il resto, aspettiamo di essere degni di comprenderlo.

Fonte :Le Rivelazioni degli Spiriti  ( Allan Kardec )

sabato 26 febbraio 2011

- LEGGE DI LAVORO - Necessità del Lavoro - Limite del Lavoro. Riposo


(domande e risposte )

-Necessità del Lavoro :

674 - La necessità del lavoro è una legge di natura?
Risposta: «Il lavoro è una legge di natura appunto perché è una necessità e la civiltà obbliga l’uomo a lavorare di più perché ne accresce i bisogni e gli agi».
675 - Per lavoro si devono intendere le sole occupazioni materiali?
Risposta: «No: lo Spirito lavora quanto il corpo. Lavoro è qualunque occupazione utile».
676 - Perché fu imposto all’uomo il lavoro?
Risposta: «Perché conseguenza della sua natura corporea: è una espiazione, e in pari tempo un mezzo di perfezionare la sua intelligenza. Senza di esso, l’uomo rimarrebbe nell’infanzia intellettuale: giova perciò, che egli debba il suo nutrimento, la sua sicurezza e il suo benessere al proprio lavoro e alla propria attività. A colui che è troppo debole di corpo, Iddio ha dato, per supplirvi, la forza dell’intelletto; ma anche questo è un lavoro».
677 - Perché dunque gli animali non lavorano, e ai loro bisogni provvede la natura?
Risposta: «Tutto lavora nella natura. Gli animali lavorano al pari di voi; ma il loro lavoro, come l’intelligenza, è
limitato alla cura della propria conservazione: ecco perché in loro non produce il progresso, mentre negli uomini ha un duplice fine: la conservazione del corpo e lo sviluppo del pensiero che è anche esso un bisogno. Nel dire che gli animali fanno un lavoro limitato alla cura della propria conservazione, alludo allo scopo che riescono ad ottenere lavorando; ma poi, a loro insaputa, e mentre provvedono ai bisogni materiali, secondano anch’essi i disegni del Creatore, e il loro lavoro concorre non meno del vostro all’intento finale della natura, benché spessissime volte non ne scopriate il risultato immediato».
678 - E’ l’uomo soggetto alla medesima necessità di lavoro anche nei mondi più perfetti del nostro?
Risposta: «La qualità del lavoro è relativa a quella dei bisogni: dove sono meno materiali i bisogni, è meno materiale anche il lavoro; ma non crediate per questo che l’uomo resti inerte ed inutile: l’ozio sarebbe un supplizio piuttosto che un premio».
679 - L’uomo che ha beni di fortuna sufficienti ad assicurargli la sussistenza, è esente dalla legge del lavoro?
Risposta: «Può esserlo da quella del lavoro materiale, ma non dall’obbligo di rendersi utile secondo le sue forze e di perfezionare se stesso ed altri, il che è ugualmente lavoro. Se l’uomo al quale Dio ha largito beni di fortuna che bastino ad assicurarne la sussistenza, non è costretto a nutrirsi col sudore della sua fronte, è tanto più in dovere di adoperarsi a vantaggio dei suoi simili, poiché il suo comodo stato gli dà più agio di fare il bene».
680 - Non esistono uomini, che sono assolutamente inetti a qualunque lavoro, e dei quali è inutile l’esistenza?
Risposta: «Iddio giustissimo non condanna se non colui che vegeta in volontaria inutilità, perché vive a spese
dell’altrui lavoro. Ma egli vuole che ciascuno si renda utile in proporzione delle proprie forze». (Vedi numero 643).
681 - La legge di natura impone ai figli l’obbligo di lavorare per i genitori?
Risposta: «Così come impone ai genitori quello di lavorare per i figli. Dio fece che l’amore filiale e l’amore paterno fossero sentimenti naturali, affinché, per l’affetto reciproco, i membri di una stessa famiglia si sentissero portati ad aiutarsi scambievolmente; ma questa legge di reciproco aiuto è troppo spesso trascurata dalla vostra presente società».(Vedi numero 205).

Limite del Lavoro. Riposo :

682 - Il riposo, che è un bisogno dopo il lavoro, è anch’esso una legge di natura?
Risposta: «Senza dubbio: serve a risarcire le forze del corpo, ed è anche necessario alla mente perché abbia il tempo di istruirsi, e potersi elevare al di sopra della materia».
683 - Quali sono i limiti del lavoro?
Risposta: «Quelli delle forze; del resto Dio lascia all’uomo la sua libertà».
684 - Come va giudicato chi abusa della propria autorità per imporre ai suoi dipendenti un eccesso di lavoro?
Risposta: «E’ una pessima azione. Chiunque ha l’autorità di comandare, è responsabile dell’eccesso di lavoro imposto ai suoi inferiori, poiché, così facendo, trasgredisce la legge di Dio». (Vedi numero 273).
685 - Ha l’uomo diritto al riposo nella sua vecchiaia?
Risposta: «Sì, perché l’obbligo del lavoro è relativo alle forze».
Domanda: - A chi spetta di soccorrere il vecchio, che ha bisogno di lavorare per vivere, ma non può?
Risposta: «Il forte deve lavorare per il debole; in mancanza di famiglia, la società deve farne le veci: questa è la legge di carità».

Kardec: Non basta dire all’uomo che deve lavorare; bisogna pure che chi si guadagna il pane con le proprie fatiche trovi da guadagnarselo. Quando la scarsezza di lavoro si fa generale, prende le proporzioni di un flagello, come la carestia. La scienza economica va cercando il rimedio nell’equilibrio fra la produzione ed il consumo; ma questo equilibrio, anche ammesso come possibile, avrà sempre delle intermittenze, e in questi
intervalli l’operaio ha pur da vivere. Vi è un elemento, che non si è ancora fatto entrare abbastanza nel bilancio, e senza il quale la scienza economica non è che una teoria: l’educazione; non già l’educazione intellettiva, ma la morale, e non già l’educazione morale che si ottiene dai libri, ma quella che consiste nell’arte di formare i caratteri, quella che fa i costumi dei popoli, poiché l’educazione è l’insieme delle abitudini acquistate. Quando si pensi alla massa di individui gettati ogni giorno nel torrente della popolazione senza principi, senza freno, e abbandonati ai loro istinti; devono far meraviglia le sciagurate conseguenze che ne derivano? Quando quest’arte sarà riconosciuta, compresa e praticata l’uomo porterà nel mondo abitudini d’ordine e di previdenza per sé ed i suoi, e di rispetto per tutto ciò che è rispettabile, abitudini che gli permetteranno di superare meno penosamente gli inevitabili giorni di calamità. Il disordine e l’imprevidenza sono due piaghe, che solo un’educazione bene intesa può guarire: questo è il punto di partenza, l’elemento reale del benessere, il pegno della sicurezza generale.


IL LIBRO DEGLI SPIRITI di Allan Kardec

SESSI FRA' GLI SPIRITI ----- PARENTELA e FILIAZIONE



(domande e risposte)

Sessi fra gli Spiriti :

200 - Vi è fra gli Spiriti diversità di sesso?
Risposta: «No, nel modo che intendete voi, giacché i sessi dipendono dall’organismo. Anche fra gli Spiriti regnano amore e simpatia, ma fondati sulla somiglianza dei sentimenti».
201 - Dunque, lo Spirito, che animò il corpo di un uomo, può in una nuova esistenza animare quello di una donna e viceversa?
Risposta: «Senza dubbio, lo stesso Spirito può animare ora il corpo di un uomo, ora quello di una donna».
202 - Lo Spirito errante preferisce incarnarsi nel corpo di un uomo o di una donna?
Risposta: «Una tal cosa poco importa allo Spirito: essa dipende dalla prova che deve subire».

Kardec: Gli Spiriti si incarnano ora come uomini ora come donne, poiché, dovendo progredire in tutto, ogni sesso, ogni condizione sociale, offre loro speciali prove e doveri ed occasioni di acquistare esperienza. Chi fosse sempre uomo non saprebbe altro se non ciò che deve sapersi dagli uomini.

Parentela e Filiazione  :

203 - I genitori trasmettono ai figli una parte della loro anima, o danno loro soltanto la vita animale, a cui
un’anima viene più tardi ad aggiungere la vita morale?
Risposta: «I genitori danno ai figli la vita animale soltanto, perché l’anima è indivisibile. Un padre idiota può avere figli d’ingegno e viceversa».
204 - Poiché abbiamo avuto parecchie esistenze, la parentela deve risalire al di là dell’attuale?
Risposta: «Non può essere diversamente. La successione delle esistenze corporee stabilisce in ciascuna fra gli Spiriti dei legami, che risalgono alle anteriori: da ciò spesso le cause della simpatia, che vi lega a persone da voi credute estranee».
205 - Ad alcuni può sembrare che la dottrina della reincarnazione distrugga i legami di famiglia col farli risalire
al di là della esistenza attuale.
Risposta: «Li estende ma non li distrugge. Poiché la parentela è fondata sopra affetti anteriori, i vincoli che uniscono i membri di una stessa famiglia, sono anzi meno precari. Essa rafforza e moltiplica i doveri della fraternità poiché il vostro vicino o il vostro servo può essere uno Spirito a voi già congiunto in passato per legami di sangue».
Domanda: - Essa tuttavia diminuisce l’importanza che alcuni annettono alla propria discendenza, poiché uno può aver avuto per padre uno Spirito, il quale sia appartenuto a tutt’altra famiglia o sia vissuto in tutt’altra
condizione che la sua.
Risposta: «E’ vero: ma questa importanza si appoggia unicamente sull’orgoglio. Quello che in gran parte gli uomini onorano nei loro sentimenti, sono i titoli, i gradi, la fortuna. Molti si adonterebbero di aver avuto per avo un onesto calzolaio, e invece si gloriano di discendere da un gentiluomo dissoluto. Ma, checché‚ dicano o facciano, non toglieranno alle cose di essere quelle che sono, poiché‚ Dio non ha regolato le leggi della natura sulla loro vanità».
206 - Dal non esserci filiazione tra gli Spiriti dei discendenti a una stessa famiglia ne segue che il culto degli
antenati sia cosa vana e ridicola?
Risposta: «No, poiché è naturale che un uomo si onori di appartenere ad una famiglia, in cui si sono incarnati Spiriti superiori. Sebbene gli Spiriti non procedano gli uni dagli altri, non per questo portano minore affezione a quelli con cui sono congiunti da legami di sangue, che hanno radice in simpatia, od in vincoli anteriori. Ricordatevi però che gli Spiriti dei vostri avi non si tengono punto onorati dal culto che rendete ad essi per orgoglio. Il loro merito non si riflette su di voi se non in quanto vi adoperate di seguirne i buoni esempi; in questo solo caso la vostra memoria può riuscir loro non solamente grata, ma anche proficua».

IL LIBRO DEGLI SPIRITI di Allan Kardec

SORTE DEI BAMBINI DOPO IL TRAPASSO


(domande e risposte)
197 - Lo Spirito di un fanciullo morto in tenera età ha lo stesso valore che quello di un adulto?
Risposta: «Talora molto di più, poiché può essere vissuto assai più a lungo, e quindi avere maggiore esperienza, specialmente se ha progredito».
Domanda: - Dunque, lo Spirito di un bambino può essere più progredito di quello di suo padre?
Risposta: «Spessissimo: non lo vedete sovente voi stessi sulla terra?».
198 - Lo Spirito di un fanciullo, che muoia in tenera età, non avendo potuto commettere il male, appartiene ai
gradi superiori?
Risposta: «Se non ha commesso il male, non ha neppure fatto del bene, e Dio non lo esime dalle prove, che deve subire. Se poi fosse superiore, non lo sarebbe già perché fra voi era un fanciullo, ma perché aveva molto progredito prima di reincarnarsi».
199 - Perché vediamo così spesso troncata la vita nell’infanzia?
Risposta: «La poca durata della vita di un fanciullo può essere per lo Spirito incarnato in lui il compimento di
un’anteriore esistenza interrotta prima del termine stabilito, e la sua morte è spesso una prova od una espiazione per i genitori».
Domanda: - Quale sorte tocca allo Spirito di un fanciullo morto in tenera età?
Risposta: «Se morto per essere venuto meno al còmpito intrapreso, egli ricomincia una nuova esistenza».

Kardec: Se l’uomo non avesse che una sola esistenza corporea, e se, dopo questa, il suo futuro destino fosse stabilito in sempiterno, quale sarebbe il merito della metà della specie umana, che muore nell’infanzia, per godere senza fatiche una felicità senza fine? E con quale diritto essa sarebbe esente dalle condizioni spesso così dure imposte all’altra metà? Un tale ordine di cose contrasterebbe con la giustizia di Dio. Con la
reincarnazione, invece, si stabilisce l’eguaglianza; l’avvenire, senza eccezione e senza favore per alcuno, appartiene a tutti: chi arriva ultimo non può incolpare che se stesso. L’uomo deve avere il merito delle sue opere, poiché ne risponde.
E, d’altra parte, non è punto logico il considerare l’infanzia come uno stato normale d’innocenza. Non vediamo forse gl’istinti più malvagi dominare talvolta nei bambini in un’età, in cui l’educazione non ha potuto ancora esercitare alcuna influenza? Non ne vediamo di quelli che hanno portato seco nascendo l’astuzia, la doppiezza, la perfidia, e perfino la tendenza al furto ed al sangue, che perdurano nonostante i buoni esempi
che loro vengono dati? La legge civile li assolve dai loro misfatti scusandoli col dire che hanno agito senza discernimento, e a buona ragione, perché veramente agiscono più istintivamente che di proposito deliberato. Ma donde possono provenire istinti così diversi tra fanciulli della medesima età, spesso educati nelle medesime condizioni, e sottoposti alle medesime influenze? Donde così precoce perversità, se non dalla
bassezza dello Spirito, poiché l’educazione non vi ha parte? I bambini viziosi sono tali, perché il loro Spirito ha progredito meno, e ne subisce le conseguenze, non per le sue opere da bambino, ma per quelle delle sue esistenze anteriori. Così la legge è uguale per tutti e la giustizia di Dio raggiunge tutti.

IL LIBRO DEGLI SPIRITI di Allan Kardec

SEPARAZIONE DELL'ANIMA DAL CORPO


(domande e risposte )

 154 - E’ dolorosa la separazione dell’anima dal corpo?
Risposta: «No: il corpo soffre spesso assai più durante la vita che nel punto della morte. L’anima o Spirito poi non partecipa in modo alcuno a quei dolori; anzi, se è buona, ne gode, perché essi le annunziano il termine del suo esilio».

Kardec: Nella morte naturale, che avviene per lo sfinimento degli organi in conseguenza dell’età, l’uomo lascia la vita senza avvedersene: è una lampada, che si spegne per mancanza di alimento.

155 - Come avviene la separazione dell’anima dal corpo?
Risposta: «Rotti i legami, che ve la trattenevano, l’anima si scioglie dal corpo».
Domanda: - La separazione avviene istantaneamente senza preparazione? C’è un limite nettamente segnato fra la vita e la morte?
Risposta: «No. l’anima si svincola gradatamente, e non fugge come un uccello prigioniero restituito inaspettatamente alla libertà. La vita va a confondersi con la morte, sicché lo Spirito si libera a poco a poco dai lacci, che si sciolgono, sì, ma non si spezzano».

Kardec: Mentre dura la vita, lo Spirito è legato al corpo mediante il suo involucro semimateriale o perispirito; ora la morte è la distruzione o trasformazione del corpo, e non del perispirito, che se ne separa, quando in quello cessa la vita organica. L’osservazione insegna, che nel punto della morte il distacco del perispirito non si compie tutto d’un tratto, ma gradatamente e con più o meno lentezza secondo le persone; in alcuni è assai spedito, e a un di presso l’ora della morte è anche quella della liberazione; in altri, e specialmente in quelli la cui vita fu tutta materia e sensi, è di gran lunga più lento, e può durare giorni, settimane, od anche mesi, la qual cosa non implica nel corpo la menoma vitalità, né la possibilità di un ritorno alla vita, ma una semplice affinità fra esso e lo Spirito, affinità che è sempre in ragione della preponderanza che, durante la vita, lo Spirito ha concesso alla materia. Chiaro è infatti, e logico, che quanto più lo Spirito si è immedesimato con la materia, tanto più stenti a separarsene; mentre l’attività intellettuale e morale e la elevatezza dei pensieri fanno si che il distacco si inizi mentre il corpo è ancora in vita, sicché, avvenuta la morte, esso si compie quasi istantaneamente.
Questo è il risultato degli studi su gran numero di persone osservate all’istante del trapasso. Queste osservazioni provano inoltre che l’affinità persistente in alcuni ancora a lungo fra l’anima ed il corpo estinto è penosissima, poiché quella può provare l’orrore della decomposizione di questo. Un tal caso però forma eccezione, ed è particolare a certi generi di vita e a certi generi di morte; si avvera, per esempio,
in qualche suicida.

156 - La separazione definitiva dell’anima dal corpo può aver luogo prima che cessi completamente la vita
organica?
Risposta: «Nell’agonia l’anima qualche volta ha già lasciato il corpo, e quindi a questo non rimane che la vita
organica. L’uomo allora non ha più la coscienza di se stesso, e tuttavia gli resta ancora un soffio di vita. Il corpo è una macchina messa in moto dal cuore, e perciò esiste sino a che il cuore fa circolare il sangue nelle vene, per la quale funzione non ha bisogno dell’anima».
157 - In punto di morte l’anima talvolta non ha una aspirazione od estasi, che le fa intravedere il mondo che
l’aspetta?
Risposta: «Spesso l’anima, al rallentarsi dei legami che l’avvincono al corpo, fa ogni sforzo per romperli del tutto, e allora, già sciolta in parte dalla materia, vede svolgersi dinanzi l’avvenire, e gode anticipatamente lo stato di Spirito libero».
158 - L’esempio del bruco, che prima striscia sul suolo, e poi, chiuso nel bozzolo, diventa crisalide con l’apparenza della morte per poi tornare, splendida farfalla, all’esistenza, può darci un’idea della vita terrestre, del sepolcro, e della nostra vita novella?
Risposta: «In piccolo sì, poiché il paragone non è cattivo; ma badate poi di non prenderlo alla lettera, come troppo spesso vi accade».
159 - Quale sensazione prova l’anima, quando si riconosce nel mondo degli Spiriti?
Risposta: «Secondo i casi: se ha coscienza di aver fatto il male, ne è tutta vergognosa e dolente; se invece ebbe a scorta del vivere la virtù, è come sollevata da un gran peso, e gioisce senza tema di alcuno sguardo scrutatore».
160 - Lo Spirito ritrova coloro che ha conosciuto sulla terra, e che sono morti prima di lui?
Risposta: «Sì, secondo l’affetto ch’egli aveva per essi, e secondo quello ch’essi avevano per lui. Spesso gli Spiriti dei suoi cari già defunti vengono a riceverlo al suo rientrare nella patria comune, e lo aiutano a spogliarsi dell’involucro materiale. Egli ve ne riconosce inoltre molti dei quali aveva perduto le tracce durante il suo soggiorno sulla terra: vede quelli che sono erranti, e va a visitare quelli che sono incarnati».
161 - In caso di morte violenta e accidentale, quando gli organi non sono ancora indeboliti dall’età o dalle
malattie, la separazione dell’anima e la cessazione della vita accadono nello stesso tempo?
Risposta: «In generale sì: ma in ogni modo, l’istante che le separa è brevissimo».
162 - Dopo la decapitazione, per esempio, conserva l’uomo anche per poco, la coscienza di se stesso?
Risposta: «Fino a che la vita organica sia spenta. Spesso però l’apprensione della morte gli fa perdere quel sentimento ancora prima del supplizio».

Kardec: Qui si parla di coscienza che il giustiziato può avere di sé medesimo come uomo, per via degli organi, e non già come Spirito. Dunque pare che, se non l’ha perduta prima del supplizio, può conservarla qualche breve momento dopo, ma cessa necessariamente con la vita organica del cervello, la qual cosa tuttavia non implica che il perispirito sia sciolto affatto dal corpo. Accade anzi il contrario in tutti i casi di morte violenta, cioè non cagionata dalla progressiva consunzione delle forze vitali, dove i legami, che uniscono il corpo col perispirito, sono più tenaci e perciò più lenta è la compiuta separazione.

IL LIBRO DEGLI SPIRITI di Allan Kardec

-METAMEDICINA -Il Nostro secondo cervello


Se osservassimo cervello ed intestino potremmo rimanere facilmente colpiti dalla grande somiglianza delle loro strutture, ma se andassimo a valutare la loro funzionalità potremmo rimanerne sbalorditi: entrambi assimilano informazioni estremamente importanti per l’organismo e producono degli scarti, le feci ed i pensieri.

Come affermava Paracelso: “Ciò che sta in basso è in alto e ciò che è in alto è anche in basso”.


L’intestino è il luogo oscuro, considerato spesso come luogo degli inferi è un posto dove si materializza il grande progetto alchemico: il cibo diventa energia vitale, diventa vita.

In questo infinito labirinto avviene un grande rituale di purificazione, i rifiuti organici vengono espulsi ma anche tutto quello che a livello psichico risulta “indigeribile”.



Il labirinto è l’archetipo dell’oscurità e nell’ombra, nelle tenebre risiedono gli istinti più vergognosi come nell’intestino hanno sede le pulsioni trasgressive.

Diversi possono essere i problemi legati a questo organo, ma quelli più diffusi sono sicuramente stipsi e colite.



Stipsi: rappresenta senza dubbio la difficoltà a separarsi da alcuni aspetti che, pur non essendo più necessari, vengono considerati “preziosi”; trattengo lo sporco al mio interno così da illudermi che non ci sia, che non faccia parte di me.

E’ una difesa verso situazioni o vissuti che “devono” essere negati.

Colite: si riferisce a diversi aspetti mantenendo dei tratti comuni.

La c. spastica colpisce gli ansiosi con pancia gonfia e dolorante e si manifesta facilmente in situazioni di particolare disagio quali esami, viaggi…

La c. con crampi indica un “tira e molla” dall’interno all’esterno e viceversa, una parte di noi vorrebbe eliminare le scorie mentre l’altra si comporta nel senso opposto.


La c. con diarrea identifica l’urgenza di espellere, mandar via qualcosa di inaccettabile.

Infine la c. con aria, con i suoi caratteristici suoni indica un’aggressività trattenuta; manifesta in questo modo il suo dissenso.

FONTE :  http://www.facebook.com/home.php?sk=group_105048752901741&view=doc&id=128313543908595#!/home.php?sk=group_105048752901741

mercoledì 23 febbraio 2011

PARADISO- INFERNO- PURGATORIO


(domande e risposte)
1.012 - Alle pene, come ai godimenti degli Spiriti, secondo i loro meriti, è destinato un luogo circoscritto
nell’universo?
Risposta: «Le pene e le gioie sono inerenti al grado di perfezione degli Spiriti: ciascuno di essi trova in se stesso il principio della propria felicità, od infelicità, e, poiché essi sono da per tutto, non vi è alcun luogo speciale destinato al castigo, né alla ricompensa. Quanto poi agli Spiriti incarnati, sono più o meno felici, a seconda che il globo, in cui essi abitano, sia più o meno avanzato».
Domanda: - Ciò posto, l’inferno e il paradiso non esisterebbero come se li figura l’uomo?
Risposta: «Questi sono concetti umani. Da per tutto ci sono Spiriti felici o infelici. E’ vero, come abbiamo detto, che gli Spiriti dello stesso ordine si riuniscono per simpatia; ma, specialmente quando sono elevati, possono riunirsi dove loro meglio piace».

Kardec: La circoscrizione assoluta dei luoghi di pena o di ricompensa non esiste che
nella immaginazione dell’uomo; essa proviene dalla sua tendenza a materializzare e a
circoscrivere le cose di cui non può comprendere l’essenza indefinita.

1.013 - Che si deve intendere per purgatorio?
Risposta: «Dolori fisici e morali: il tempo della espiazione. E’ quasi sempre sulla terra il purgatorio, nel quale Iddio vi fa espiare le vostre colpe».

Kardec: Ciò che l’uomo chiama purgatorio, è anche una figura, e vi si deve intendere, non qualche luogo determinato, ma lo stato degli Spiriti imperfetti in espiazione sino alla purificazione compiuta, che li farà salire al grado degli Spiriti beati. E siccome si purificano mediante le diverse incarnazioni, il purgatorio consiste nelle prove della vita corporea.

1.014 - Come mai alcuni Spiriti, i quali nel linguaggio rivelano la propria elevatezza, hanno risposto a persone
serie, intorno all’inferno e al purgatorio, secondo l’idea comune?
Risposta: «Hanno dovuto parlare un linguaggio compreso dalle persone che li interrogavano: quando queste sono troppo imbevute di certe idee, non vogliono urtarle troppo bruscamente per non offendere le loro convinzioni. Se uno Spirito dicesse, senza precauzioni oratorie, a un musulmano, poniamo caso, che Maometto non è un profeta, non ne avrebbe davvero troppo buona accoglienza».
Domanda: - Questo si capisce da parte di quelli, che ci vogliono istruire: ma non spiega, come certi Spiriti,
interrogati intorno al loro stato, abbiano risposto, che soffrivano le torture dell’inferno, o del purgatorio.
Risposta: «Quando sono inferiori e non del tutto spogli della materia, serbano in parte le idee terrestri, ed esprimono le loro impressioni coi termini, che sono loro familiari. Il trovarsi in un ambiente che loro non permette di scrutare appieno l’avvenire fa sì che spesso Spiriti erranti, disincarnati da poco, parlino come avrebbero fatto in vita, Per Inferno deve intendersi una vita di prova penosissima con l’incertezza di un’altra più avventurata; per Purgatorio una vita che sentite combattuta, una vita di prove ma con la coscienza di un avvenire migliore. Allorché voi sentite un gran dolore, non dite forse che soffrite un inferno, o che soffrite come un dannato? E’ evidente che queste sono parole figurate».
1.015 - Che vuol dire un’anima in pena?
Risposta: «Uno Spirito errante, che soffre, incerto del suo avvenire, a cui potete dare sollievo, e che spesso ve lo chiede venendo a comunicare con voi». (Vedi numero 644).
1.016 - Che significa la parola cielo?
Risposta: «Non è un luogo, come i Campi Elisi degli antichi, dove tutti i buoni Spiriti sono stipati alla rinfusa
senz’altra cura tranne quella di godere per l’eternità una beatitudine inerte; ma lo spazio universale, cioè i pianeti, le stelle e tutti i mondi superiori, dove gli Spiriti fruiscono di tutte le loro facoltà senza le tribolazioni della vita materiale, né le angosce inerenti alla bassezza».
1.017 - Alcuni Spiriti hanno detto di abitare il quarto, il quinto cielo e simili: che vogliono significare?
Risposta: «Richiedesti quale cielo abitassero a chi aveva l’idea di molti cieli l’uno sopra l’altro, come i piani di una casa, e risposero con lo stesso linguaggio; ma per loro quelle parole: quarto, quinto cielo, esprimevano diversi gradi di elevatezza, e in conseguenza di felicità. Lo stesso accade a chi domanda a uno Spirito se sia nell’inferno. Qualora egli soffra, dirà di sì, poiché per esso l’inferno è sinonimo di sofferenza, quantunque sappia di non essere in una fornace. Un pagano avrebbe risposto che era nel tartaro».

Kardec: Alla stessa maniera si devono intendere espressioni analoghe, come città dei fiori, città degli eletti, prima, seconda, terza sfera, e simili, le quali non sono che allegorie adoperate da certi Spiriti, sia quali figure, sia qualche volta per ignoranza della realtà delle cose, ed anche delle nozioni scientifiche più elementari.
Secondo l’idea ristretta che si aveva nel passato dei luoghi di pena e di ricompensa, e specialmente secondo la credenza che la terra fosse il centro dell’universo, e il cielo formasse una sola volta, e vi fosse una regione delle stelle, IL CIELO VENIVA COLLOCATO IN ALTO, E L’INFERNO IN BASSO, onde le espressioni salire in cielo, precipitare nell’inferno. Ora, però, che la scienza ha dimostrato che la terra, fra i tanti milioni di altri mondi, è uno dei più piccoli e senza importanza speciale; ora che la scienza ha tracciato la storia della sua formazione, e descritto la sua struttura, e provato, che, essendo lo spazio senza fine, nell’universo non c’è né alto né basso, si è dovuto rinunciare a porre il cielo al di sopra delle nubi e l’inferno negli abissi. Quanto al purgatorio, non gli era assegnato alcun posto determinato. Era serbato allo Spiritismo
di dare anche su questo la spiegazione più razionale, più grandiosa, e nello stesso tempo più consolante per la umanità. Ora, mercé le comunicazioni che abbiamo ricevuto, sappiamo di portare in noi stessi il nostro inferno e il nostro paradiso; il nostro purgatorio, poi, lo troviamo nella nostra incarnazione, cioè nelle nostre vite
corporee.

1.018 - Come si devono interpretare le parole di Gesù: Il mio regno non e in questo mondo?
Risposta: «In senso figurato Voleva dire che egli regna soltanto sugli animi puri e disinteressati. Egli è dovunque domina l’amore del bene; ma gli uomini avidi delle cose di quaggiù e ad esse attaccati non sono con lui».
1.019 - Potrà mai avverarsi sulla terra il regno del bene?
Risposta: «Il bene regnerà sulla terra, quando fra gli Spiriti, che vengono ad abitarla, i buoni prevarranno sui cattivi. Allora essi vi faranno regnare l’amore e la giustizia, fonti del bene e della felicità. L’uomo, col progresso morale e con la pratica delle leggi di Dio, attirerà sulla terra i buoni Spiriti, e ne allontanerà i cattivi; ma per fare ciò è necessario che egli ne bandisca l’orgoglio e l’egoismo. La trasformazione dell’umanità è stata predetta, e voi siete prossimi a quel momento affrettato da tutti gli uomini, che cooperano al progresso. Essa si compirà con l’incarnazione di Spiriti migliori, che formeranno in terra una nuova generazione. Allora gli Spiriti dei malvagi, che la morte va mietendo ogni giorno, e tutti coloro che tentano di arrestare gli avvenimenti, ne saranno esclusi, perché sarebbero fuori posto in mezzo agli uomini dabbene, di cui intorbiderebbero la felicità. Essi andranno a compiere penose missioni in altri mondi meno avanzati, dove potranno lavorare per il progresso proprio, e nello stesso tempo promoveranno quello dei loro fratelli ancora più bassi. E in questa esclusione dalla terra trasformata non vedete forse sublime la figura del paradiso
perduto? E nel germe delle sue passioni e nelle tracce della sua inferiorità, portati seco dall’uomo, quando in una condizione simile venne ad abitare la terra, non vedete l’altra non meno sublime del peccato originale? Così quest’ultimo sta nella natura ancora imperfetta dell’uomo, il quale risponde solo di sé medesimo e delle proprie colpe, non già di quelle dei suoi padri. O voi tutti uomini di fede e di buona volontà, lavorate dunque con zelo e coraggio alla grande opera della rigenerazione, e raccoglierete il centuplo del grano, che avrete seminato. Guai a coloro che chiudono gli occhi alla luce, poiché essi si preparano lunghi secoli di tenebre e di dolore! Guai a coloro che ripongono la loro felicità nei beni di questo mondo, poiché soffriranno più privazioni di quanti godimenti non avranno avuto! Guai soprattutto agli egoisti, perché non troveranno chi li aiuti a portare il peso delle loro miserie!».

Fonte : Il Libro degli Spiriti (Allan Kardec )

DISGUSTO DELLA VITA--SUICIDIO



(domande e risposte)
943 - Da che viene in parecchi il disgusto della vita senza un motivo plausibile?
Risposta: «Dall’ozio, dalla mancanza di fede e spesse volte dalla sazietà. Per chi esercita le sue facoltà con un fine utile e secondo le sue attitudini naturali, il lavoro non riesce penoso, e la vita passa più rapidamente: egli ne sopporta le vicissitudini con tanta maggiore pazienza e rassegnazione, quanto maggiore è la sua fede nella felicità più vera e più durevole, che lo aspetta».
944 - Ha l’uomo il diritto di disporre della sua vita?
Risposta: «No; questo diritto è di Dio. Il suicidio volontario è una violazione della legge di conservazione».
Domanda: - Il suicidio non è sempre volontario?
Risposta: «Il pazzo, che si uccide, non sa quel che si faccia».
945 - Che pensare di coloro che si uccidono per disgusto della vita?
Risposta: «Insensati! Perché non si diedero al lavoro? Non avrebbero trovata gravosa l’esistenza».
946 - E di coloro che si uccidono per sottrarsi alle miserie e ai disinganni di questo mondo?
Risposta: «Poveri Spiriti, che non hanno il coraggio di sopportare gli affanni dell’esistenza! Dio aiuta chi soffre, ma non chi manca d’animo e di forza. Le tribolazioni della vita sono prove, od espiazioni beati quelli che le tollerano senza mormorare, poiché ne saranno ricompensati! Guai, per contrario, a coloro che attendono la propria salute da ciò che nella loro empietà chiamano caso o fortuna! Il caso o la fortuna, per valermi del loro linguaggio, possono, è vero, favorirli qualche volta; ma perché provino più tardi e più crudelmente la delusione di avere confidato in cose vane».
Domanda - Quelli che hanno condotto gli infelici ad un tale stato di disperazione,ne subiranno le conseguenze?
Risposta: «Oh, guai, guai ad essi! Poiché ne risponderanno come di un omicidio».
947 - L’uomo che, messo alle strette dalla necessità, si lascia morire per disperazione, può considerarsi quale
suicida?
Risposta: «E’ proprio tale; ma chi lo induce a quel passo, o potrebbe impedirlo e non lo fa, avrà maggior castigo di lui, che troverà indulgenza. Però non crediate che egli resterà del tutto impunito, interamente assolto, ove abbia mancato di fermezza e di perseveranza, e non avrà fatto uso di tutte le sue forze e facoltà per sottrarsi alle strette della miseria.
Meschino lui, poi, se la sua disperazione è stata determinata dall’orgoglio, cioè se egli si è spinto a quel passo cedendo a stolti pregiudizi, i quali fanno credere che un uomo già vissuto nell’agiatezza non possa vivere col lavoro delle sue mani, e che sia preferibile lasciarsi morire di fame, piuttosto che degradarsi e vivere in una condizione più modesta della condizione precedente! Non è forse cento volte più nobile e dignitoso lottare contro le avversità, e disprezzare la critica di un mondo vano ed egoista, che non è devoto se non a coloro cui ride la fortuna, e vi volta le spalle quando vi trovate nel bisogno? Sacrificare la propria vita ai pregiudizi di questo mondo è cosa insensata, perché il mondo non tiene conto di questi sacrifici, da cui non ricava alcun vantaggio».
948 - Chi si uccide per sfuggire all’onta di un delitto è riprovevole come colui che lo fa per disperazione?
Risposta: «Il suicidio non cancella la colpa; anzi, alla prima ne aggiunge una maggiore. Come si ebbe il coraggio di fare il male, occorre avere anche quello di subirne le conseguenze. Però Dio giudica con assoluta giustizia, e può talora mitigare la sua severità».
949 - Il suicidio è scusabile, quando il suicida ha lo scopo di impedire che l’onta ricada sui figli, o sulla famiglia?
Risposta: «Chi lo commette fa male, ma crede di far bene, e Dio gliene terrà conto, poiché è un’espiazione, che si impone da sé. Egli attenua la sua colpa con l’intenzione; ma purtuttavia la colpa è sempre colpa. Del resto, abolite gli abusi della vostra società e i vostri pregiudizi, e non avrete più di questi suicidi».

Kardec: Chi si toglie la vita per sfuggire all’onta di una cattiva azione dimostra di tenere più alta stima degli uomini che all’amore di Dio, e rientra nella vita spiritica col peso delle sue iniquità, poiché privandosi della vita, si è privato del mezzo di riparare al malfatto e purificarsene. Iddio sovente è meno inesorabile degli uomini: perdona al sincero pentimento, ed apprezza la riparazione; ma il suicida non ripara a
nulla.
950 - Che pensare di colui che si toglie la vita quaggiù nella speranza di giungere così più presto ad una migliore?
Risposta: «Follia! Faccia il bene, e allora sarà sicuro di arrivarvi, mentre in questo modo ritarda la sua entrata in un mondo migliore, perché egli stesso sarà costretto a chiedere di venire a terminare quella vita, che si è troncata per una falsa idea. Una colpa, qualunque sia, non apre mai l’accesso al santuario degli eletti».
951 - Il sacrificio della propria vita non è meritorio quando è fatto per salvare un altro, o per giovare in una
maniera qualsiasi ai suoi simili?
Risposta: «Il sacrificio della propria vita per il bene degli altri non e un suicidio, ma un atto sublime, se veramente utile, e non offuscato dall’orgoglio. Un sacrificio è tanto meritorio, quanto più è disinteressato; se talvolta chi lo compie ha segreti fini personali, allora ne scema il valore agli occhi di Dio».

Kardec: Ogni sacrificio a spese del proprio bene è un atto sovranamente meritorio agli occhi di Dio, perché è la pratica della legge di carità. Siccome la vita è il bene massimo che l’uomo abbia sulla terra, chi vi rinuncia a vantaggio del suo simile non commette una colpa, ma compie un sacrificio sublime: solo, prima di compierlo, deve considerare se la sua vita non sia più utile della sua morte.

952 - L’uomo, il quale perisce vittima dell’abuso di passioni, che, come egli sa, affretteranno la sua morte, ma a cui non ha più forza di resistere, perché l’abitudine le ha convertite in veri bisogni fisici, commette un suicidio?
 Risposta: «Un suicidio morale. Non vedete che l’uomo in questo caso è doppiamente colpevole? Mancanza di coraggio e bestialità da una parte, e dall’altra sconoscenza di Dio».
Domanda: - E’ più o meno colpevole di colui, che si toglie la vita per disperazione?
Risposta: «Molto più, perché ha il tempo di riflettere sul suo suicidio, mentre chi si uccide nell’impeto di una passione è talora in una specie di aberrazione, che tocca la pazzia. Il castigo ne sarà dunque assai maggiore, perché le pene sono sempre proporzionate alla coscienza delle colpe, che ha chi le commette».
953 - Allorché un uomo si vede dinanzi una fine certa e terribile, è colpevole, se abbrevia di alcuni istanti i suoi dolori con una morte volontaria?
Risposta: «E’ sempre colpa non aspettare il termine stabilito da Dio. Del resto, chi lo assicura, che questo termine sia venuto, e che egli non possa ricevere un soccorso inaspettato all’ultimo momento?».
Domanda: - Si comprende che nelle circostanze ordinarie il suicidio è delitto: ma quando la morte sia inevitabile, e la vita non si abbrevi che di pochissimo tempo?
Risposta: «E’ sempre una mancanza di rassegnazione e di sottomissione alla volontà del Creatore».
Domanda: - Quali sono in tal caso le conseguenze del suicidio?
Risposta: «Una espiazione proporzionata, come sempre, alla gravità della colpa, secondo le circostanze».
954 - Un’imprudenza, che metta a rischio la vita senza necessità, è delitto?
Risposta: «Non vi è colpa, dove non ci sia intenzione o coscienza positiva di fare del male».
955 - Le donne, che in certi casi si bruciano volontariamente col corpo del marito, vanno considerate come
suicide, e ne subiscono le conseguenze?
Risposta: «Esse ubbidiscono ad un pregiudizio, e spesso lo fanno perché costrette e non di propria volontà. Credono di compiere un dovere, la qual cosa elimina ogni idea di suicidio. Hanno scusa nella nullità morale, in cui per lo più sono cresciute, e nella propria ignoranza. Quelle barbare usanze scompariranno al lume della civiltà».
956 - Coloro, che non potendo sopportare la perdita di persone amate, si uccidono nella speranza di andarle a raggiungere, riescono nel loro intento?
Risposta: «Ottengono l’effetto opposto: invece di congiungersi con l’oggetto della loro affezione, se ne allontanano per più lungo tempo, poiché Dio non può ricompensare un atto di debolezza e l’oltraggio che gli si fa col dubitare della sua Provvidenza. Pagheranno la loro follia con affanni più gravi di quelli che stimano di abbreviare, e senza il conforto della speranza, che avevano prima». (Vedi numero 934 e seguenti).
957 - Quali sono, in generale, le conseguenze del suicidio sullo stato dello Spirito?
Risposta: «Disparatissime: non ci sono pene prestabilite, perché esse sono sempre relative alle cause della colpa; ma la conseguenza a cui nessun suicida può sfuggire, è il disinganno (vedi numeri 155 - 165). Nel resto, la sorte non è uguale per tutti, e dipende dalle circostanze: alcuni espiano il proprio delitto immantinente; altri in una nuova esistenza che sarà peggiore di quella di cui hanno interrotto il corso».

Kardec: E, invero, l’osservazione mostra come le conseguenze del suicidio non siano sempre le stesse: ce ne sono però delle comuni a tutti i casi di morte violenta o subitanea interruzione della vita. La più comune fra queste la persistenza più prolungata e più tenace del legame, che unisce lo Spirito ed il corpo, perché quasi
sempre esso si trova in tutta la sua forza al momento in cui viene spezzato, mentre nella morte naturale s’indebolisce a grado a grado, e spesso è sciolto prima che la vita sia spenta del tutto. Effetti di un tale stato di cose sono il prolungarsi del turbamento spiritico, e poi dell’illusione, per la quale, per un tempo più o meno
lungo, lo Spirito crede di appartenere ancora al numero dei viventi.
L’affinità che persiste fra lo Spirito e il corpo, produce in alcuni suicidi una specie di ripercussione dello stato del corpo sullo Spirito, che risente suo malgrado gli effetti della decomposizione, e ne prova angoscia ed orrore, e questo stato può durare tanto, quanto avrebbe dovuto durare la vita ch’essi hanno interrotta. Questo effetto non è in generale; ma in nessun caso il suicidio va immune dalle conseguenze della sua viltà, e, presto o tardi, espia la sua colpa in uno o in un altro modo. Così, parecchi Spiriti, i quali furono infelicissimi su questa terra, hanno detto di essersi uccisi nella precedente esistenza, e poi di essersi assoggettati a novelle prove, per tentare di sopportarle con maggiore rassegnazione. In alcuni si osserva una specie di attaccamento alla materia, da cui cercano invano di liberarsi, per salire verso mondi migliori, il cui accesso tuttavia è loro interdetto. Nei più si palesano il rincrescimento di aver fatto cosa inutile e l’amarezza della delusione.
La religione, la morale, tutte le filosofie condannano il suicidio come contrario alle leggi di natura; tutte ci dicono concordemente che nessuno ha il diritto di abbreviare volontariamente la sua vita. Ma perché non ha l’uomo questo diritto? Perché non è libero di porre un termine alle proprie sofferenze? Era compito riservato allo Spiritismo di dimostrare, con l’esempio di quelli che soccombettero, che il suicidio non solo è una colpa, considerata come infrazione di una legge morale, cosa che per alcuni può non avere una grande importanza, ma altresì una stoltezza, con la quale, lungi dal guadagnare, si perde. Lo Spiritismo non ci insegna solo la teoria; ma ci pone sotto gli occhi i fatti.


IL LIBRO DEGLI SPIRITI di Allan Kardec

martedì 22 febbraio 2011

AMORE MATERNO E FILIALE


(domande e risposte)

890 - L’amor materno è una virtù, o un sentimento istintivo comune agli uomini e agli animali?
Risposta: «E’ l’una e l’altra cosa nello stesso tempo. La natura diede alla madre l’amore per i suoi nati nell’interesse della loro conservazione. Nell’animale è limitato ai bisogni materiali, e cessa quando le cure divengono inutili; nell’uomo persiste tutta la vita, comporta le virtù della devozione e del sacrificio, sopravvive anche dopo la morte, e segue il figlio di là dalla tomba. Voi vedete bene che nell’uomo c’è qualche cosa, che non si trova nel bruto». (Vedi numeri 205 - 385).
891 - Se l’amore materno è nella natura, perché ci sono madri che odiano i propri figli, spesso fin dalla loro
nascita?
Risposta: «E’ questa qualche volta una prova scelta dallo Spirito che s’incarna, o un’espiazione, se egli stesso fu cattivo padre, o cattiva madre, o cattivo figlio in altra esistenza (vedi n. 392). In tutti i casi, la cattiva madre non può essere animata che da uno Spirito malvagio, il quale tenta di opporsi a quello del figlio, perché soccomba nella prova; ma una tale violazione delle leggi della natura non rimarrà impunita, mentre lo Spirito del figlio sarà ricompensato degli ostacoli che avrà saputo superare».
892 - I genitori, che hanno figli, da cui non traggono che cagione di amarezze e di dolori, non sono scusabili, se non portano ad essi quell’amore che avrebbero loro portato nel caso contrario?
Risposta: «No, giacché hanno appunto il còmpito di migliorarli a forza d’amore e di far tutti gli sforzi per ricondurli al bene (vedi numeri 582 - 583). D’altra parte quelle amarezze e quei dolori sono spesse volte la conseguenza della cattiva piega che hanno lasciato prendere ai loro nati sin dalla culla: raccolgono allora ciò che hanno seminato».

Fonte: Il Libro degli Spiriti (Allan Kardec)

SAGGIO SUL MOVENTE DELLE AZIONE DELL'UOMO


872 - La questione del libero arbitrio può compendiarsi così.

L’uomo non è condotto fatalmente al male: gli atti che compie non sono prestabiliti; le colpe che commette, non sono effetti di una sentenza del destino. Egli può, come prova, o come espiazione, scegliere un’esistenza in cui, sia per l’ambiente, ove sarà collocato, sia per le circostanze, che sopravverranno, avrà tentazioni al delitto; ma è sempre padrone di agire a suo talento. Così il libero arbitrio esiste nell’uomo, allo stato di Spirito, nella scelta dell’esistenza e delle prove, e allo stato corporeo nella facoltà di cedere, o di resistere alle seduzioni, a cui ci siamo volontariamente assoggettati. Alla educazione, spetta il compito di combattere queste cattive tendenze, ed essa vi riuscirà, quando sarà basata sul profondo studio della natura morale dell’uomo, natura che si giungerà a modificare con la conoscenza delle leggi, che la reggono, come si modifica l’intelligenza con l’istruzione.
Lo Spirito, sciolto dalla materia, nello stato erratico sceglie le sue esistenze corporee future, secondo il grado di perfezione a cui è giunto; e in questo, come abbiamo detto, consiste specialmente il suo libero arbitrio, che non si annulla con l’incarnazione. Se egli cede sotto il giogo della materia, soccombe alle prove, che ha
scelto lui stesso; ma, affinché lo aiutino a superarle, può invocare l’assistenza di Dio e dei buoni Spiriti (vedi numero 337).
Senza il libero arbitrio, l’uomo non avrebbe né colpa del male, né merito del bene: la qual cosa è così evidente, che anche fra noi si proporziona sempre il biasimo, o l’elogio, all’intenzione, cioè alla volontà; e volontà vuol dire libertà. L’uomo dunque non può cercare una scusa ai suoi falli nel suo organismo, senza rinnegare la sua ragione e la sua condizione di essere umano, e senza assimilarsi ai bruti, poiché se così fosse per il male, sarebbe lo stesso anche per il bene; ma invece, quando l’uomo fa il bene, non trascura di farsene un merito, e non c’è da temere che egli ne attribuisca il merito ai suoi organi, la qual cosa dimostra che egli istintivamente non rinuncia mai al più bel pregio della sua specie: la libertà del pensiero.
La fatalità, come è comunemente intesa, implica la decisione precedente ed irrevocabile di tutti i casi della vita, qualunque ne sia l’importanza. Se tale fosse l’ordine delle cose, l’uomo sarebbe una macchina senza volontà. A che gli servirebbe l’intelligenza se invariabilmente e in tutti i suoi atti egli fosse schiavo della potenza del destino? Questa dottrina, se fosse vera, distruggerebbe ogni libertà morale: non ci sarebbe più
responsabilità e di conseguenza né bene, né male, né vizi, né, virtù. Iddio, sovranamente giusto, non potrebbe punire la sua creatura per colpe che non dipendevano dalla sua volontà di non commettere, né ricompensarla per virtù, di cui essa non avrebbe avuto alcun merito. Una tale legge inoltre frenerebbe ogni progresso, poiché
l’uomo, tutto aspettando dalla sorte, non tenterebbe più nulla per migliorare la propria condizione.
Tuttavia, la fatalità non è sogno di mente inferma: essa esiste nella condizione in cui l’uomo si trova sulla terra, e nelle azioni che vi compie per effetto del genere di esistenza che il suo Spirito ha scelto come prova, espiazione o missione. Egli patisce fatalmente tutte le vicissitudini di questa esistenza e tutte le inerenti tendenze
buone o cattive; ma lì finisce la fatalità, perché dipende dal libero arbitrio cedere, o non cedere, a queste tendenze. I particolari degli avvenimenti sono subordinati alle circostanze, che egli stesso provoca con le sue azioni, e nelle quali possono ingerirsi gli Spiriti per mezzo dei pensieri che gli suggeriscono (vedi numero 459).
Fatali, dunque, sono i casi che si presentano, perché conseguenze del genere di esistenza scelto dallo Spirito; ma non mai gli effetti di questi casi, poiché dipende dall’uomo il modificarne il corso con la sua prudenza. Fatalità, poi, non c’è mai negli atti della vita morale.
La sola cosa in cui l’uomo sia assolutamente soggetto alla legge inesorabile della fatalità è il morire, poiché egli non può sfuggire né al tempo, né al genere di morte che lo aspetta.
Secondo la dottrina comune, l’uomo attingerebbe tutti gli istinti in sé medesimo: deriverebbero sia dalla sua costituzione fisica, di cui non sarebbe tenuto a rispondere, sia dalla sua natura, di cui si potrebbe dire che non dipende dall’uomo. La dottrina spiritica invece, assai più morale, ammette nell’uomo il libero arbitrio in
tutta la sua pienezza, e dicendogli che, se fa male, cede ad una rea suggestione estranea, gliene lascia tutta la responsabilità, poiché riconosce in lui il potere di resistere ad agenti esterni, cosa evidentemente più facile che se dovesse lottare contro la natura sua propria.
Così, secondo la dottrina degli Spiriti, non vi è seduzione irresistibile: l’uomo può sempre chiudere l’orecchio alla voce occulta che lo sollecita al male nel suo interno, come alla voce materiale di chi gli parla: e questo con la sua volontà, chiedendo a Dio la forza necessaria, e invocando all’occorrenza l’assistenza dei buoni Spiriti. Ce lo ha insegnato Gesù nella santa preghiera detta orazione domenicale con le parole: «e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male». Questa teoria del movente dei nostri atti apparisce chiara da tutto l’insegnamento degli Spiriti. Sublime per moralità, essa eleva l’uomo ai suoi propri occhi, poiché lo mostra libero di scuotere un giogo che lo opprime, come è libero di chiudere la sua casa agli importuni: egli non è più una macchina, che agisce per impulso indipendente dalla sua volontà, ma un essere ragionevole, che ascolta, giudica, e sceglie liberamente fra due consigli. Si aggiunga poi, come questo non tolga il potere di
iniziativa all’uomo, che agisce sempre di sua volontà quale Spirito incarnato, e serba sotto l’involucro corporeo i pregi e i difetti, che aveva da libero. Quindi, le colpe che commettiamo, provengono dalla imperfezione del nostro Spirito, il quale ancora non ha conseguito l’eccellenza morale, che avrà un giorno.

La vita corporea con le prove che vi patisce, gli serve a purgarsi delle sue imperfezioni, che lo rendono debole e accessibile alle suggestioni degli altri Spiriti imperfetti, i quali ne profittano per cercare di farlo soccombere nella lotta intrapresa: se egli ne esce vincitore, si eleva; se vinto, rimane come era, né più buono, né più cattivo; è una prova da ricominciare, e la cosa può durare a lungo così. Quanto più egli si purifica, tanto più diviene forte, e tanto meno presta il fianco a coloro che lo sollecitano al male: la sua forza morale cresce a misura della sua elevazione, e gli Spiriti bassi se ne allontanano. La specie umana è composta di Spiriti incarnati più o meno buoni, e, poiché la nostra terra è uno dei mondi meno progrediti, i secondi vi si trovano in numero maggiore che i primi: ecco perché vi scorgiamo tanta perversità. Facciamo dunque ogni sforzo per non doverci tornare più dopo questa stazione, e meritare il riposo in un mondo migliore, in uno di quei mondi felici, dove il bene regna incontrastato, e noi non ricorderemo il nostro passaggio sulla terra che come un tempo di esilio.

Fonte : Il Libro degli Spiriti (Allan Kardec)