1 - Si usa in generale la parola cielo per indicare lo spazio indefinito che
circonda la terra, e più particolarmente la parte che è sopra al nostro
orizzonte: viene dal latino coelum, derivato dal greco coilos, vuoto,
concavo, perché il cielo si presenta agli occhi come una immensa superficie
curva. Gli antichi credevano all’esistenza di numerosi cieli sovrapposti,
composti di materia solida e trasparente, che formavano sfere concentriche il
cui centro era la terra. Roteando attorno alla terra, tali sfere trascinavano con
sé gli astri che si trovavano nella loro orbita.
Tale concezione, dovuta all’insufficienza delle conoscenze astronomiche, fu
accettata da tutte le teogonie che fecero dei cieli, così scaglionati, i diversi
gradi della beatitudine: l’ultimo era la dimora della felicità suprema. Secondo
l’opinione più comune erano sette: di qui l’espressione essere al settimo
cielo per indicare una felicità perfetta.
I musulmani ne riconoscono nove, in ciascuno dei quali aumenta la felicità
dei credenti. L’astronomo Tolomeo (1) ne contava undici, e l’ultimo era
chiamato Empireo (2) a causa della sua luce abbagliante.
(1) Tolomeo visse ad Alessandria d’Egitto, nel II secolo era cristiana.
(2) Dal greco pyr, fuoco.
Ancora oggi, Empireo è il nome poetico dato alla gloria eterna. La teologia
cristiana riconosce tre cieli: il primo è quello della regione dell’aria e delle
nuvole; il secondo è lo spazio in cui si muovono gli astri; il terzo, al di là della
regione degli astri, è la dimora dell’Altissimo, degli eletti che contemplano il
volto di Dio. E’ appunto secondo questa credenza che si dice che san Paolo fu
innalzato al terzo cielo.
2 - Le diverse dottrine relative alla dimora dei beati sono tutte basate su di un
duplice errore: la terra è il centro dell’universo, e la regione degli astri è
limitata. E’ al di là di questo limite immaginario che tutte queste dottrine
hanno posto la dimora dei beati e dell’Onnipotente.
E’ una anomalia singolare, che pone l’autore di tutte le cose, colui che le
governa tutte, ai confini della sua creazione, anziché al centro, dove lo
splendore del suo pensiero potrebbe irradiarsi su tutto.
3 - La scienza, con la logica inesorabile dei fatti e dell’osservazione, ha portato
la sua bandiera nelle profondità dello spazio, e ha dimostrato l’infondatezza di
tutte queste teorie. La terra non è più il perno dell’universo, ma uno dei corpi
celesti più piccoli che ruotano nell’immensità; persino il sole non è altro che il
centro di un sistema planetario; le stelle sono innumerevoli soli, divisi da
distanze appena accessibili al pensiero, sebbene a noi sembrino quasi toccarsi.
In questo complesso, retto da leggi eterne in cui si rivelano la saggezza e
l’onnipotenza del Creatore, la terra appare come un puntolino impercettibile,
e anzi uno dei meno favoriti dal punto di vista dell’abitabilità. Ci si domanda,
allora, perché Dio ne avrebbe fatto l’unica sede della vita, perché vi avrebbe
relegato le sue creature preferite. Al contrario, la vita è dovunque, l’umanità è
infinita come l’universo. Poiché la scienza ci rivela mondi simili alla terra, Dio
non può averli creati senza uno scopo: ha dovuto popolarli di esseri capaci di
governarli.
4 - Le idee dell’uomo sono in ragione di ciò che egli sa: come tutte le scoperte
importanti, quella della costituzione dei mondi ha portato gli uomini,
necessariamente, a delle opinioni diverse. Di fronte a tali conoscenze nuove,
le credenze hanno dovuto modificarsi; il cielo è stato spostato; la regione delle
stelle, essendo illimitata, non gli lascia più spazio. E allora dov’è? Di fronte a
questa domanda, tutte le religioni tacciono.
Lo Spiritismo risolve il problema mostrando il vero destino dell’uomo.
Prendendo come punti di partenza la natura dell’uomo stesso e gli attributi di
Dio, si arriva alla conclusione; partendo da ciò che è noto si arriva all’ignoto
per mezzo di una deduzione logica, senza parlare poi delle osservazioni
dirette che lo Spiritismo permette di fare.
5 - L’uomo è composto del corpo e dello Spirito; lo Spirito è l’essere
principale, l’essere della ragione, l’essere intelligente; il corpo è l’involucro
materiale che riveste temporaneamente lo Spirito per permettergli il
compimento della sua missione sulla terra e l’esecuzione dell’attività
necessaria al suo avanzamento. Il corpo, consumato, si distrugge, e lo Spirito
sopravvive alla sua distruzione. Senza lo Spirito, il corpo non è altro che una
materia inerte, come uno strumento privato del braccio che lo fa agire; senza
il corpo, lo Spirito è tutto: la vita e l’intelligenza. Lasciando il corpo, rientra
nel mondo spirituale dal quale era uscito per incarnarsi.
Vi è quindi il mondo corporeo, composto da Spiriti incarnati, e il mondo
spirituale, formato da spiriti disincarnati. Gli esseri del mondo corporeo,
proprio perché possiedono un involucro materiale, sono legati alla terra o a
un globo qualunque; il mondo spirituale è dovunque, attorno a noi o nello
spazio: non ha alcun limite. Grazie alla natura fluidica del loro involucro, gli
esseri che lo compongono, anziché trascinarsi faticosamente sul suolo,
valicano le distanze con la rapidità del pensiero. La morte del corpo è la
rottura dei legami che li tenevano prigionieri.
6 - Gli spiriti sono creati semplici e ignoranti, ma con l’attitudine ad acquisire
tutto ed a progredire in virtù del loro libero arbitrio.
Attraverso il progresso, acquistano nuove conoscenze, nuove facoltà, nuove
percezioni e, in seguito, nuove gioie ignote agli Spiriti inferiori: vedono,
intendono, sentono e comprendono ciò che gli Spiriti arretrati non possono
né vedere, né intendere, né sentire, né comprendere. La felicità è
proporzionale al progresso compiuto; così, di due Spiriti, uno può
non essere felice quanto l’altro, solo perché non è altrettanto
avanzato intellettualmente e moralmente, senza che ciascuno di
essi debba essere necessariamente in un luogo distinto. Anche se
sono l’uno accanto all’altro, uno può essere nelle tenebre, mentre attorno
all’altro tutto rifulge: esattamente come avviene per un cieco e per un vedente
che si danno la mano; uno percepisce la luce che sull’altro non fa alcuna
impressione. La felicità degli Spiriti è inerente alle qualità che essi
possiedono, e quindi l’attingono dovunque si trovano, sulla
superficie della terra, tra gli incarnati o nello spazio.
Un paragone molto semplice permetterà di comprendere anche meglio questa
situazione. Se ad un concerto assistono due uomini, uno dei quali è un buon
musicista dall’orecchio esercitato, e l’altro non conosce la musica e ha il senso
dell’udito poco delicato, il primo prova una sensazione di felicità, mentre il
secondo rimane insensibile, perché l’uno comprende e percepisce ciò che
all’altro non fa la minima impressione.
Ciò avviene per tutte le gioie degli Spiriti, che sono proporzionate alla loro
attitudine a percepirle. Il mondo spirituale ha ovunque splendori,
armonie e sensazioni che gli Spiriti inferiori, ancora sottoposti
all’influenza della materia, non intravedono neppure, e che sono
accessibili soltanto agli Spiriti purificati.
7 - Per gli Spiriti, il progresso è il risultato della loro attività; ma poiché sono
liberi, essi lavorano per il proprio avanzamento con un grado maggiore o
minore di attività o di negligenza, a seconda della loro volontà: in tal modo
affrettano o ritardano il proprio progresso, e quindi la loro felicità. Mentre
alcuni avanzano rapidamente, altri restano per lunghi secoli nei ranghi
inferiori: sono quindi gli artefici della loro condizione, felice o infelice,
secondo la parola di Cristo: «A ciascuno secondo le sue opere». Ogni Spirito
che rimane indietro può prendersela soltanto con se stesso, mentre quello che
avanza ne ha tutto il merito: la felicità che ha conquistato è per lui
inestimabile.
La felicità suprema è il bene dei soli Spiriti perfetti, detti anche puri Spiriti,
che la conseguono soltanto dopo aver progredito nell’intelligenza e nella
moralità. Il progresso intellettuale e il progresso morale raramente procedono
di pari passo: ma ciò che lo Spirito non fa una volta, lo fa un’altra, e così i due
progressi finiscono per raggiungere lo stesso livello. Per questa ragione spesso
si vedono uomini intelligenti e istruiti che sono moralmente poco avanzati, e
viceversa.
8 - L’incarnazione è necessaria al duplice progresso morale e intellettuale
dello Spirito; al progresso intellettuale, mediante l’attività che è obbligato a
svolgere nel suo lavoro; al progresso morale, mediante il bisogno che gli
uomini hanno gli uni degli altri. La vita sociale è la pietra di paragone
delle buone e delle cattive qualità. La bontà, la cattiveria, la dolcezza, la
violenza, la benevolenza, la carità, l’egoismo, l’avarizia, l’orgoglio, l’umiltà, la
sincerità, la franchezza, la lealtà, la malafede, l’ipocrisia, in breve tutto ciò che
contraddistingue l’uomo buono dall’uomo perverso ha come movente, come
scopo e come stimolo i rapporti tra l’uomo e i suoi simili: per l’uomo che
vivrà solo non vi saranno né vizi né virtù; se, per mezzo
dell’isolamento, si salva dal male, annulla anche il bene.
9 - Una sola esistenza corporea è chiaramente insufficiente perché lo Spirito
possa acquisire tutto ciò che gli manca di buono e possa disfarsi di tutto ciò
che vi è in lui di inevoluto. Per esempio, il selvaggio non potrebbe, in una sola
incarnazione, raggiungere il livello morale e intellettuale dell’uomo civile più
progredito: è materialmente impossibile. Deve allora rimanere in eterno
nell’ignoranza e nella barbarie, privo delle gioie che soltanto lo sviluppo delle
facoltà può procurare? Il buon senso più elementare respinge questa
supposizione, che sarebbe contemporaneamente la negazione della giustizia e
della bontà di Dio e la negazione della legge naturale del progresso. Per
questo, Iddio, che è sovranamente giusto e buono, accorda allo Spirito
dell’uomo tutte le esistenze necessarie per raggiungere lo scopo, che è la
perfezione.
In ogni nuova esistenza, lo Spirito apporta quanto ha acquisito in fatto di
attitudini, di conoscenze intuitive, di intelligenza e di morale nelle esistenze
precedenti. Ogni esistenza è quindi un passo avanti sulla via del progresso (3).
L’incarnazione è inerente all’inferiorità degli Spiriti: non è più necessaria per
quelli che ne hanno varcato il limite e che progrediscono allo stato spirituale,
o nelle esistenze corporee dei mondi superiori che non hanno più nulla della
materialità terrestre. La loro incarnazione è volontaria, per esercitare sugli
incarnati un’azione più diretta, per il compimento di una missione che si sono
assunti nei loro confronti: ne accettano le vicissitudini e le sofferenze per
vocazione.
10 - Nell’intervallo tra le esistenze corporee, lo Spirito ritorna, per un tempo
più o meno lungo, nel mondo spirituale, dove è felice o infelice a seconda del
bene o del male che ha fatto. Lo stato spirituale è lo stato normale dello
Spirito, poiché questo deve essere il suo stato definitivo, e poiché il corpo
spirituale non muore; lo stato corporeo è soltanto transitorio. E’ soprattutto
nello stato spirituale che coglie i frutti del progresso compiuto durante
l’incarnazione; ed è allora che si prepara a nuove lotte e prende le risoluzioni
che si sforzerà di mettere in pratica al suo ritorno tra l’umanità.
Lo Spirito progredisce anche vagando: attinge in tal modo conoscenze speciali
che non potrebbe acquisire sulla terra: le sue idee si modificano. Lo stato
corporeo e lo stato spirituale sono per lui la fonte di due specie di progressi
complementari l’uno all’altro: per questo passa alternativamente in questi due
modi di esistenza.
11 - La reincarnazione può avvenire sulla terra o su altri mondi. Tra questi, ve
ne sono alcuni più avanzati, sui quali l’esistenza si compie in condizioni meno
dure che sulla terra, sia fisicamente che moralmente: ma a questi sono
ammessi soltanto Spiriti giunti a un grado di perfezione adeguato allo stato di
tali mondi.
La vita nei mondi superiori è già una ricompensa, perché vi si è esenti dai
mali e dalle vicissitudini di quaggiù. I corpi, meno materiali, quasi fluidici,
non sono soggetti a malattie, a infermità, a bisogni. Poiché gli Spiriti malvagi
sono esclusi , gli uomini vivono in pace, senza altra cura che il proprio
avanzamento mediante il lavoro dell’intelligenza. Là regnano la vera
fratellanza, poiché non vi è egoismo; la vera eguaglianza, poiché non vi è
orgoglio; la vera libertà, perché non vi sono disordini, da reprimere, né
ambiziosi che cercano di opprimere i deboli. In confronto alla terra, tali
mondi sono autentici paradisi: sono le tappe della strada del progresso, che
porta allo stato definitivo.
La terra è un mondo inferiore destinato alla purificazione degli Spiriti
imperfetti: è per questa ragione che il male vi domina, fino a quando non
piacerà a Dio farne la dimora degli Spiriti più avanzati.
Lo Spirito, progredendo gradualmente via via che si sviluppa, giunge così
all’apogeo della felicità: ma prima di attingere il punto culminante della
perfezione, gode, di volta in volta, la felicità relativa al suo progresso: come il
bambino assapora i piaceri dell’infanzia, poi quelli della giovinezza e infine
quelli più solidi dell’età matura.
12 - La felicità degli Spiriti beati non consiste nell’ozio contemplativo che,
come è stato spesso affermato, sarebbe un’inutilità eterna e noiosa. Al
contrario, in tutti i suoi stadi la vita spirituale è una attività costante, ma
un’attività esente da fatiche. La felicità suprema consiste quindi nel godere
tutti gli splendori del creato, che nessun linguaggio umano potrebbe rendere,
che neppure l’immaginazione più feconda potrebbe concepire; nella
conoscenza e nella penetrazione di tutte le cose; nell’assenza di ogni
sofferenza fisica o morale; in una soddisfazione intima, in una serenità
dell’anima che nulla altera; nell’amore puro che unisce tutti gli esseri, grazie
all’assenza dei contrasti causati dal contatto con i malvagi; e soprattutto nella
visione di Dio e nella comprensione dei suoi misteri rivelati ai più degni.
Questa felicità suprema, inoltre, sta nelle funzioni che vengono affidate al
beato. Messia o messaggeri di Dio per la trasmissione o per l’esecuzione delle
sue volontà, i beati compiono le grandi missioni, presiedono alla formazione
dei mondi e all’armonia generale dell’universo, un compito glorioso al quale si
può giungere solo attraverso la perfezione. Coloro che appartengono
all’ordine più elevato sono i soli a conoscere i segreti di Dio, poiché si ispirano
al suo pensiero, di cui sono i rappresentanti diretti.
13 - Le attribuzioni degli Spiriti sono proporzionali al loro avanzamento, alle
luci che essi possiedono, alle loro capacità, alla loro esperienza e alla fiducia
che ispirano al Supremo Signore. Non vi sono privilegi né preferenze che non
siano il premio del merito: tutto è misurato secondo il peso della giustizia più
rigorosa. Le missioni più importanti vengono affidate soltanto a quelli che Dio
sa idonei a svolgerle, e incapaci di farle fallire o di comprometterle. Mentre,
sotto l’occhio stesso di Dio, i più degni compongono il consiglio supremo, a
capi superiori è affidata la direzione dei sistemi planetari; ad altri è conferita
quella di mondi speciali. Vengono poi, in ordine di avanzamento e di
subordinazione gerarchica, le attribuzioni più circoscritte di quanti sono
preposti al progresso dei popoli, alla protezione delle famiglie e degli
individui, all’impulso di ogni ramo del progresso, alle diverse operazioni della
natura, fino ai particolari più infimi della creazione. In questo complesso
immenso e armonioso, vi sono occupazioni per tutte le capacità, per tutte le
attitudini, per tutte le buone volontà: occupazioni accettate con gioia,
sollecitate con ardore, perché sono un mezzo di avanzamento per gli Spiriti
che aspirano ad elevarsi.
14 - Accanto alle grandi missioni affidate agli Spiriti superiori, ve ne sono
altre, di ogni grado d’importanza, affidate a Spiriti di tutti gli ordini; si può
quindi dire che ogni incarnato ha la sua missione, cioè doveri da compiere per
il bene dei suoi simili: dal padre di famiglia cui spetta il compito di far
progredire i suoi figli, fino all’uomo di genio che apporta alla società nuovi
elementi di progresso. E’ in queste missioni secondarie che spesso si
osservano fallimenti, prevaricazioni, rinunce: ma tutto questo nuoce
all’individuo, e non al complesso.
15 - Tutte le intelligenze contribuiscono quindi all’opera generale, a
qualunque grado siano pervenute, e ciascuna nella misura delle sue forze; le
une nello stato di incarnazione, le altre nello stato di Spirito.
Ovunque vi è attività, dal fondo della scala fino al suo vertice: tutti si
istruiscono, si aiutano l’un l’altro, si prestano un appoggio reciproco, si
tendono la mano per raggiungere la vetta.
Si stabilisce così la solidarietà tra il mondo spirituale e il mondo corporeo,
cioè tra gli uomini e gli Spiriti, tra gli Spiriti liberi e gli Spiriti prigionieri. Si
perpetuano e si consolidano così, attraverso la purificazione e la continuità
dei rapporti, le vere simpatie, gli affetti più santi.
Ovunque, quindi, vi è vita e movimento: non vi è un angolo dell’infinito che
non sia popolato; non vi è una regione che non sia percorsa incessantemente
da innumerevoli legioni di esseri radiosi, invisibili ai sensi grossolani degli
incarnati, ma la cui vista riempie d’ammirazione e di gioia le anime liberate
dalla materia. Ovunque, infine, vi è una felicità relativa per tutti i progressi,
per tutti i doveri compiuti; ognuno porta in sé gli elementi della propria
felicità, in rapporto alla categoria in cui si situa il suo grado di avanzamento.
La felicità è dovuta alle qualità proprie degli individui, non allo stato
materiale dell’ambiente in cui si trovano: quindi dovunque vi sono Spiriti
capaci di essere felici; non è assegnato loro un posto circoscritto,
nell’universo. Ovunque si trovino, i puri Spiriti possono contemplare la
maestà divina, poiché Dio è dappertutto.
16 - Tuttavia, la felicità non è personale: se la si attingesse soltanto da se
stessi, se non la si potesse condividere con altri, sarebbe egoista e triste; la
felicità è anche nella comunione dei pensieri che unisce gli esseri affini. Gli
Spiriti beati, attratti gli uni verso gli altri dalla somiglianza delle idee, dei
gusti, dei sentimenti, formano gruppi vastissimi, o famiglie omogenee, nelle
quali ogni individuo risplende delle proprie qualità, e si compenetra degli
effluvi sereni e benefici che emanano dall’insieme, i cui membri ora si
disperdono per dedicarsi alla loro missione, ora si radunano in un punto
qualsiasi dello spazio per comunicarsi i risultati delle loro attività, ora si
raccolgono attorno ad uno Spirito di un ordine più elevato per ricevere il suo
consiglio e le sue istruzioni.
17 - Sebbene gli Spiriti siano dovunque, i mondi sono i focolari attorno ai
quali si raccolgono di preferenza, grazie all’armonia che esiste tra loro e
quanti li abitano. Attorno ai mondi avanzati abbondano gli Spiriti superiori;
attorno ai mondi arretrati pullulano gli Spiriti inferiori.
La terra è ancora uno di questi ultimi. Ogni globo, quindi ha in un certo senso
una popolazione adeguata, di Spiriti incarnati o disincarnati, che si alimenta,
per lo più, mediante l’incarnazione e la disincarnazione di questi stessi Spiriti.
Tale popolazione è più stabile nei mondi inferiori, dove gli Spiriti sono più
attaccati alla materia, e più fluttuante nei mondi superiori. Ma dai mondi che
sono focolai di luce e di felicità, si distaccano Spiriti eletti per scendere sui
mondi inferiori, per disseminarvi i germi del progresso, per portare la
consolazione e la speranza, per risollevare gli animi abbattuti dalle prove della
vita, e talvolta vi si incarnano per compiere con maggiore efficacia la loro
missione.
18 - In questa immensità senza limiti, dov’è dunque il cielo? E’ dovunque:
non ha confini, non ha muri di cinta; i mondi beati sono le ultime stazioni
sulla via che porta ad esso; le virtù facilitano il cammino, i vizi ne
impediscono l’accesso.
Accanto a questa visione grandiosa, che popola tutti gli angoli dell’universo,
che dà a tutti gli oggetti della creazione uno scopo e una ragione d’essere,
quanto appare piccola e meschina la dottrina che circoscrive l’umanità a un
punto impercettibile dello spazio, che ce la mostra come se incominciasse ad
un dato momento per finire un giorno con il mondo in cui vive, abbracciando
in tal modo soltanto un minuto dell’eternità! Come è triste, fredda e glaciale,
quando ci mostra il resto dell’universo, prima, durante e dopo l’umanità
terrestre, privo di vita e di movimento, come un deserto immenso precipitato
nel silenzio! Come è disperante, perché ci presenta un piccolo numero di eletti
votati alla contemplazione perpetua, mentre la maggioranza delle creature è
condannata a sofferenze senza fine! Com’è dolorosa, per i cuori colmi
d’affetto, per la barriera che innalza tra i morti e i vivi! Le anime beate, si dice,
non pensano che alla loro beatitudine; quelle che sono infelici, non pensano
che ai loro dolori. E’ sorprendente, allora, che l’egoismo regni sulla terra, se ci
viene mostrato persino in cielo? Quanto è meschina, allora, l’idea che questa
dottrina dà della grandezza, della potenza e della bontà di Dio!
Come è sublime, al contrario, quella che ne dà lo Spiritismo! Come
ingrandisce le idee, come amplia il pensiero questa dottrina! Ma chi ci dice
che sia vera? Innanzitutto la ragione, e poi la rivelazione, e poi la sua
concordanza con il progresso della scienza. Tra due dottrine, una delle quali
sminuisce gli attributi di Dio e l’altra li estende; una delle quali è in
disaccordo con il progresso, e l’altra in armonia; una delle quali rimane
indietro e l’altra procede, il buon senso basta a dirci quale rappresenta la
verità. Di fronte ad entrambe, ognuno, nel suo intimo, interroghi le proprie
aspirazioni, e una voce intima gli risponderà. Le aspirazioni sono la voce di
Dio, che non può ingannare gli uomini.
19 - Ma allora perché Iddio non ha rivelato loro la verità fin dal principio? Per
la stessa ragione per cui non si insegna ai bambini ciò che si insegna
all’adulto. La rivelazione limitata era sufficiente durante un certo periodo
dell’umanità: Dio la rende proporzionale alle forze dello Spirito. Esse
ricevono
oggi una rivelazione più completa, sotto la guida degli stessi Spiriti che in
altri tempi ne hanno ricevuta una parziale, ma che da allora sono cresciuti in
intelligenza.
Prima che la scienza rivelasse agli uomini le forze vive della natura, la
conformazione degli astri, il vero ruolo e la formazione della terra, essi
avrebbero compreso l’immensità dello spazio, la pluralità dei mondi? Prima
che la geologia provasse la formazione della terra, avrebbero compreso il
significato allegorico delle Sei Giornate della creazione, avrebbero potuto
scacciare l’inferno dalle viscere del pianeta? Prima che l’astronomia scoprisse
le leggi che reggono l’universo, avrebbero potuto comprendere che nello
spazio non vi è né alto né basso, che il cielo non è al di sopra delle nuvole e
non è limitato dalle stelle? Prima dei progressi della scienza psicologica,
avrebbero potuto identificarsi con la vita spirituale, concepire, dopo la morte,
una vita felice o infelice, se non in un luogo circoscritto e sotto una forma
materiale? No: poiché comprendevano più per mezzo dei sensi che con il
pensiero, l’universo era troppo grande per il loro cervello: bisognava ridurlo a
proporzioni meno vaste per accordarlo con il loro punto di vista, salvo poi
estenderlo in seguito. Una rivelazione parziale aveva la sua utilità: allora era
saggia, oggi è insufficiente. Il torto è di quanti, non tenendo conto del
progresso delle idee, credono di poter governare gli uomini maturi con le
dande adatte ai bambini. (Vedere Il Vangelo secondo gli Spiriti, cap. 3).
Fonte: Le rivelazioni degli Spiriti (Allan Kardec )
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