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venerdì 29 aprile 2011

PROVE VOLONTARIE -- Il vero ciclo



26. Voi domandate se è permesso di mitigare le proprie prove: è una domanda
simile a questa: è permesso a chi sta annegando di cercare di salvarsi? a chi ha una spina
nel piede, di tentare di toglieria? a chi è ammalato di chiamare il medico? Le prove
hanno lo scopo di esercitare l’intelligenza, tanto quanto la pazienza e la rassegnazione:
un uomo può nascere in una posizione penosa e imbarazzante, proprio per obbligarlo a
cercare i mezzi per vincere le difficoltà. Il merito consiste nel sopportare senza lagnarsi
le conseguenze dei mali che non si possono evitare, nel perseverare nella lotta, nel non
disperarsi se non si riesce; non nel lasciar correre, perché più che virtù sarebbe pigrizia.
Questa domanda ne comporta naturalmente un’altra. Poiché Gesù ha detto:
“Beati gli afflitti”, c’è del merito nel cercare le afflizioni, aggravando le prove con delle
sofferenze volontarie? Vi risponderò molte chiaramente: sí, vi è un gran merito quando
sofferenze e privazioni hanno il fine del bene del prossimo, perché allora è carità fatta
per mezzo del sacrificio; non v’è nessun merito quando non hanno altro scopo che se
stessi, perché allora non è che fanatico egoismo.
Occorre fare qui una profonda distinzione: per voi, personalmente,
accontentatevi delle prove che vi manda Dio e non aumentatene il peso che è già,
talvolta, cosí greve; accettatele senza lagnarvi e con fede, è tutto ciò che egli vi chiede.
Non indebolite il vostro corpo con privazioni inutili e macerazioni senza scopo, perché
avete bisogno di tutte le vostre forze per compiere la vostra missione che è il vostro
lavoro sulla terra. Torturare e martirizzare voluntariamente il vostro corpo è
contravvenire alla legge di Dio, che vi dà i mezzi per sostenerlo e fortificarlo;
indebolirlo senza necessità è un vero suicidio. Usate, ma non abusate: questa è la legge:
l’abuso, anche delle cose migliori, comporta una punizione a causa delle sue inevitabili
conseguenze.
Tutt’altro è ciò che riguarda le sofferenze che ci si impone per alleviarne il
prossimo. Se voi sopportate il freddo e la fame per riscaldare e nutrire chi ne ha
bisogno, e se il vostro corpo ne soffre, ecco che questo sacrificio è benedetto da Dio.
Voi che abbandonate i vostri salotti profumati per recarvi a portare consolazioni negli
abbaini graveolenti; voi che insudiciate le vostre mani delicate curando le piaghe; voi
che vi private del sonno per vegliare al capezzale di un ammalato che non è vostro
fratello che in Dio; voi, infine, che consumate la vostra salute nell’esercizio delle opere
buone, ecco il vostro cilicio. Un vero cilicio di benedizione, perché le gioie del mondo
non hanno affatto reso insensibile il vostro cuore; non vi siete lasciati cullare dalle
snervanti voluttà della fortuna, ma avete voluto essere gli angeli consolatori dei poveri
diseredati.
Ma voi, che vi ritirate dal mondo per evitarne le seduzioni e vivere
nell’isolamento, quale è la vostra utilità sulla terra? dove è il vostro coraggio nelle
prove, visto che fuggite la lotta e disertate il combattimento? Se volete un cilicio,
applicatelo alla vostra anima e non al vostro corpo; mortificate il vostro Spirito e non la
vostra carne; fustigate il vostro orgoglio; ricevete le umiliazioni senza lamentarvi;
calpestate il vostro amor proprio; irrigidirevi contro il dolore dell’ingiuria e della
calunnia, più acuto dei dolori fisici. Ecco il vero cilicio in cui piaghe vi saranno contate
come meriti, poiché saranno la dimostrazione del vostro coraggio e della vostra
sottomissione ai voleri di Dio. (UN ANGELO CUSTODE, Parigi, 1863).

27. Si deve porre un termine alle prove del prossimo, quando si può, o, per
rispetto ai disegni di Dio, bisogna lasciarle seguire il loro corso?
Abbiamo detto e ripetuto spesso che siete su questa terra d’espiazione per
compiere le vostre prove, e che tutto quello che vi succede è una conseguenza delle
esistenze anteriori, è l’interesse del debito che dovete pagare. Ma questo pensiero
provoca presso certuni delle riflessioni che è necessario interrompere perché potrebbero
avere funeste conseguenze.
Alcuni pensano che, dal momento che si è sulla terra per espiare, bisogna che le
prove facciano il loro corso. Ce ne sono perfino di quelli che arrivano a credere che non
soltanto non si deve far nulla per attenuarle, ma che, al contrario, bisogna contribuire
affinché dovengano più utili rendendole più energiche. È un grave errore. Sí, le vostre
prove debbono seguire il corso tracciato da Dio, ma, questo corso, voi lo conoscete?
Sapete fino a qual ponto debbano giungere, e se il vostro Padre misericordioso non ha
detto alla sofferenza di questo o quello dei vostri fratelli: “Tu non andrai più oltre”?
Sapete se la sua provvidenza vi ha scelti non come strumento de supplizio per aggravare
le sofferenze del colpevole, ma come balsamo di consolazione per cicatrizzare le piaghe
che la sua giustizia aveva aperte? Quando vedete uno dei vostri fratelli colpito dalla
sofferenza, non ditevi dunque: È la giustizia di Dio che deve fare il suo corso. Ditevi al
contrario: Vediamo quali mezzi il nostro Padre misericordioso ha posto in mio potere
per alleviare la sofferenza del mio fratello. Vediamo se il mio conforto morale, il mio
aiuto materiale, i miei consigli, potranno aiutarlo a superare questa prova con maggiore
forza, più pazienza e più rassegnazione. Vediamo anche se Dio non ha messo nelle mie
mani il mezzo per far cessare questa sofferenza: se non è stato concesso a me, sia pure
come prova, forse come espiazione, di fermare il male e di sostituirlo con la pace.
Aiutatevi dunque sempre nelle vostre prove rispettive e non vi considerate mai
come strumenti di tortura: un simile pensiero deve ripugnare ad ogni uomo di cuore, e
soprattutto ad ogni spiritista: perché lo spiritista, più di ogni altro, deve comprendere
l’estensione infinita della bontà di Dio. Lo spiritista deve pensare che tutta la sua vita
deve essere un atto damore e di abnegazione: che qualsiasi cosa egli possa fare per
opporsi alle decisioni del Signore, la sua giustizia avrà corso egualmente. Può, dunque,
senza nessun timore compiere tutti i suoi sforzi per alleviare l’amarezza della
espiazione, ma è Dio soltanto che può arrestarla o prolungarla come giudica opportuno.
Non ci sarebbe un immenso orgoglio nell’uomo che si credesse in diritto, per
cosí dire, di rigirare l’arma nella piaga? di aumentare la dose di veleno nell’animo di
colui che soffre, col pretesto che questa è la sua espiazione? Oh! consideratevi sempre
come l’istrumento scelto per farla cessare! Riassumendo: voi siete sulla terra per
espiare, ma tutti, senza eccezioni, dovete fare ogni sforzo per addolcire l’espiazione dei
vostri fratelli, secondo la legge d’amore e di carità. (BERNARDIN, Spirito protettore,
Bordeaux, 1863).

28. Un uomo è in agonia, in preda a crudeli sofferenze; si sa che il suo stato è
senza speranza; è permesso di risparmiargli qualche momento d’angoscia, affrettando la
sua fine?
Chi vi ha dato, dunque, il diritto di giudicare voi, prima che si mostrino, i
disegni di Dio? Non può forse condurre un uomo sull’orlo della tomba, per poi ritrarlo,
al fine di farlo ritornare in sé e di indurlo ad altri pensieri? Qualunque sia la condizione
di un moribondo, anche all’estremo, nessuno può dire con certezza che la sua ultima ora
è giunta. La scienza stessa non si è mai ingannata nelle sue previsioni?
So bene che vi sono dei casi che si possono considerare come disperati, ma
anche se non vi può essere nessuna speranza di un ritorno definitivo alla vita ed alla
salute, esistono innumerevoli esempi di malati che, al momento di rendere l’ultimo
respiro, si sono rianimati ed hanno recuperato per qualche momento le loro facoltà!
Ebbene, quest’ora di grazia che viene accordata, può avere per loro la massima
importanza; perché voi ignorate quali riflessioni ha potuto fare il suo Spirito nelle
convulsioni dell’agonia, e non sapete che tormenti gli possono essere risparmiati da un
lampo di pentimento.
Il materialista che non vede che il corpo e non fa nessun conto dell’anima, non
può capire queste cose; ma lo spiritista, che conosce quello che accade al di là della
tomba, sa bene quanto sia alto il prezzo dell’ultimo pensiero. Alleviate per quanto
potete le ultime sofferenze, ma guardatevi dall’idea di abbreviare la vita, anche di un
solo minuto, perché questo minuto può far risparmiare nell’avvenire molte lagri-me.
(SAN LUIGI, Parigi, 1860).

29. Colui che è disgustato della vita, ma non vuole togliersela, è colpevole se
cerca la morte su un campo di battaglia, con l’intento di rendere utile la sua morte?
Che l’uomo si dia la morte o che se la faccia dare da altri, il suo scopo è sempre
quello di abbreviare la sua vita, e, in conseguenza, si tratta egualmente di suicidio; se
non di fatto, certamente d’intenzione. Il pensiero che la sua morte si renda utile a
qualche cosa, è illusorio; non è che un pretesto per abbellire la sua azione e renderla
scusabile ai suoi occhi stessi. Se avesse veramente il desiderio di essere utile al suo
paese, lo difenderebbe ma cercherebbe di vivere e non di morire, perché una volta che
fosse morto non gli servirebbe più a nulla. La vera abnegazione consiste nel non temere
la morte quando è il momento di rendersi utile, nello sfidare il pericolo, nell’essere
disposti a fare il sacrificio della propria vita senza rimpianti, se è necessario; ma
l’intenzione premeditata di cercate la morte esponendosi al pericolo, anche per essere
utile, annulla il merito dell’azione. (SAN LUIGI, Parigi, 1860).

30. Un uomo si espone ad un pericolo imminente per salvare la vita ad uno dei
suoi simili, sapendo che soccomberà egli stesso: questa azione può essere considerata
come un suicidio?
Poiché non vi è intenzione di cercare la morte, non è suicidio, ma sacrificio ed
abnegazione, anche se si avesse la certezza di perire. Ma chi può avere questa certezza?
Chi può dire se la Provvidenza non ha in riserva un mezzo insperato di salvezza proprio
nel momento più critico? Non può forse salvare anche colui che è legato alla bocca di
un cannone? Spesso vuol portare la prova della rassegnazione fino all’ultimo limite, e
solo allora una circostanza inattesa allontana il colpo fatale. (SAN LUIGI, Parigi, 1860).
31. Coloro che accettano le loro sofferenze con rassegnazione sottomessi alla
volontà di Dio e pensando alla loro futura felicità, non si occupano che di loro stessi,
possono rendere le loro sofferenze vantaggiose per altri?
Queste sofferenze possono essere vantaggiose per altri, materialmente e
moralmente. Materialmente se, con il lavoro, le privazioni ed i sacrifici che
s’impongono, contribuiscono al benessere materiale del loro prossimo; moralmente
grazie all’esempio che danno della loro sottomissione alla volontà di Dio. Questo
esempio della potenza della fede spiritista può indurre i disgraziati alla rassegnazione,
può salvarli dalla disperazione e dalle sue funeste conseguenze nell’avvenire. (SAN
LUIGI, Pa-rigi, 1860).
(1) Oggi diremmo “shock”


IL VANGELO SECONDO GLI SPIRITI (Allan Kardec)

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